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venerdì 13 dicembre 2019

PENSIERI SPARSI SULLA BREXIT - da Italiana in Inghilterra


Per qualche strano caso della vita, ogni volta che ci sono delle elezioni politiche importanti, il giorno post-elezioni mi sveglio in qualche parte del mondo diversa da casa, o ricevo un nuovo biglietto aereo per qualche luogo lontano.
Il 10 Novembre 2016 ero a Malta: con la mia amica Silvia ci siamo svegliate, guardate in faccia, e girate dall’altra parte, immerse negli schermi dei nostri cellulari che dispensavano - con tanto sensazionalismo quanta sorpresa - la notizia della vittoria di Donald Trump.
Il 5 Marzo 2018 ho ricevuto la conferma che sarei partita per la Giordania, e ho prenotato il volo allontanando i pensieri nefasti (e premonitori?) su quali sarebbero stati gli effetti dei risultati delle elezioni politiche italiane del giorno prima.
il 13 dicembre 2019, che e’ pure venerdi’ – e quindi, in Inghilterra, porta il doppio della sfiga! – mi sono risvegliata a Liverpool con questo Nightmare before Christmas, la vittoria schiacciante di Boris Johnson. Nel pomeriggio mi e’ arrivata la conferma del mio prossimo viaggio, in Kenya.
Oggi e’ Santa Lucia, il giorno piu’ corto che ci sia (e per fortuna, mi viene da dire!), se non fosse che non e’ detto che le cose, da domani, possano solo migliorare.
Sono in Inghilterra da poco piu’ di un mese, e faccio conto di rimanerci per un bel po’. Non ho scelto di venire in Ighilterra, semplicemente, mi si e’ presentata l’occasione di venirci. Non posso dire di esserci affezionata, non ancora, quantomeno: ma Liverpool e’ una citta’ fantastica, gli inglesi sono dannatamente rassicuranti, gentili, incoraggianti. Il tempo fa pieta’, e il cibo e’ discutibile, ma si vive bene. Un italiano vive bene, qui, soprattutto se ha a che fare con l’universita’. La risparmiamo la nota sulla fuga dei cervelli e sulle centinaia di studenti?dottorandi?ricercatori?professori italiani che ho incontrato nell’ultimo mese?
Risparmiamola.
Credo che, stamattina, tutti noi, italiani e non, ci siamo svegliati (e ci siamo sentiti) un po’ piu’ stranieri.
Ovvio, il primo pensiero e’ stato: ma chi diavolo l’ha votato? Perche’ in effetti, se parli con un inglese non ti dira’ mai che ha votato per la Brexit, ne’ per Boris Johnson.  Il punto e’ che qualcuno l’avra’ pur votato - un po’ come quando da noi nessuno apparentemente votava Berlusconi, ma poi vinceva sempre.
Il secondo pensiero e’ stato: vabbuo’, tanto io sono cittadino italiano, no? passaporto europeo, lasciapassare per il mondo.
Eppure Boris Johnson fa vacillare anche queste certezze, che in fondo non sono altro che una specie di retaggio neocolonialista che ci crede immuni e potenti (solo) in virtu’ della nostra occidentalita’.
In fondo, gliene sono grato: e’ sempre buona cosa mettersi in discussione e cercare di riposizionarsi nel mondo. Lo so, appartengo a una classe di giovani privilegiati che “ha scelto di andarsene all’estero”, cit.. Che fa le valigie e prova a partire, tanto non ha nulla da perdere (se non le speranze). Che in fondo, se va male, puo’ sempre tornare da Mamma Italia e “ti adatti, che qualcosa se hai voglia di lavorare lo trovi”. Tutto-dannatamente-vero.
Grazie Boris per questo pugno in faccia, per questa doccia di acqua gelata.
Non ho mai creduto nella Brexit, ma mi pare evidente che ora sia un evento ineluttabile. Basta romanticismo.
Nessuno sa cosa succedera’, e oggettivamente non c’e’ nulla di peggio dell’incertezza, del non sapere cosa ti aspetta.
Il punto non e’ lo sbatti del passaporto, non e’ nemmeno la complicazione del presunto visto elettronico. Ci sono questioni piu’ complicate e profonde del disagio passeggero dei turisti dal weekend a Londra che, in fondo, uno sforzo per entrare in UK possono pure farlo.
Ma per (noi?) stranieri, che viviamo qua, e che stiamo cercando di costruirci un pezzo di vita in Inghilterra, di investire energie, presente e futuro per qualcosa di migliore (e forse nemmeno per qualcosa di migliore, ma semplicemente per qualcosa di diverso?) cosa ne sara’?
Il mio aspetto pratico e’ al limite dell’incredibile. Boris promette Brexit entro fine gennaio. E’ ovvio che non sara’ cosi’, da un giorno all’altro, ma e’ davvero cosi’ ovvio? Lascero’ la nazione per quindici giorni, a ridosso della data: potrei uscire dal paese e rientrarci (forse) sotto una condizione completamente diversa. Le segreterie mi soffocano di email per farmi notare che forse dobbiamo cambiare le date, che tornare a meta’ febbraio puo’ portare a complicazioni: ammettere complicazioni nella mia testa si traduce nel darla vinta alla schizzofrenia di Boris, quindi rilassiamoci.
Eppure, stamattina ho chiamato in comune, mi sono iscritta ai registri. Poi ho chiamato la previdenza sociale, e ho preso un appuntamento per avere il numero fiscale. Ho controllato di aver caricato tutti i documenti per il pre-settled status. Gliel'ho data vinta.
Ho sentito una necessita’ urgente di veder scritto da qualche parte che non sono una turista, di avere una prova burocratica della mia presenza sul suolo inglese. Mi sono sentita in necessita’ di farmi ingabbiare da un sistema che, nel darti uno status, ti prende tra le sue maglie e ti stritola: perche’ se vuoi stare qui, adattati e dicci cosa sei qua a fare. Mi sono sentita inadeguata nel mio stato marginale, indefinito, che fino a ieri era semplicemente quello di un qualsiasi Cittadino europeo in libera circolazione sul suolo europeo, per entrare in quello di Cittadino europeo in un' Inghilterra in transizione per la Brexit. E’ stato bruttissimo, mi sono sentita totalmente impotente, come se il mio destino dipendesse  veramente da “quelli che stanno in alto”. Mi sono sentita in qualche modo, clandestina, pur senza esserlo.
Eppure, e’ stato un momento catartico: non mi sono mai sentita cosi’ vicina a tutti i miei amici non europei che combattono da anni per resistere all'impregnante potere di questa parola: “clandestino”. Una parola che alla fine diventa un’identita’, e non sei tu, ma sei "il clandestino". Ho pensato ai miei amici ingabbiati in Giordania, con un passaporto che e’ carta straccia. E anche ai miei amici africani, che stanno in Italia e sono macinati pure loro dalle maglie di una burocrazia estenuante che li mantiene in uno status indefinito per anni. Che blocca il loro futuro. F-U-T-U-R-O!
Non sono degna di paragonarmi a loro, il mio privilegio da occidentale mi posiziona ancora una volta troppo avanti. Penso tutti i giorni a quanto presente e quanto futuro loro stanno perdendo.
Eppure, in questo flusso di pensieri e nella volonta’ di cercare sempre  un insegnamento utile in cio’ che accade, sono grata a Boris Johnson di avermi insegnato ancora una volta che c'e' solo una cosa da fare. Puo' essere dannatamente difficile, ma: RESISTERE, SEMPRE!