Dovevo scrivere qualcosa sui diritti dei bambini, su come proteggerli, su come permettere loro di avere una buona infanzia. Così ho pensato che non può essere riconosciuto miglior diritto che quello di "essere se stessi".
Un viaggio dentro i nostri processi creativi e su come, crescendo, ci siamo dimenticati chi eravamo. "Dobbiamo recuperare il bambino che c'è in noi" - diceva Friedrich Fröbel - "solo così potremmo essere felici".
Quello che per me era un diritto scontato, ha destato una grande riflessione. Così mi sono ritrovata a parlarne ancora, il 5 dicembre presso l'Akademia Pedagogiki Specialnej "Marii Grzegorzewska". http://www.aps.edu.pl/university.aspx
ENGLISH VERSION HERE > http://larceniesoftime.blogspot.com/2015/12/i-had-to-write-something-about-children.html
Sin dalla nascita della società contemporanea, la comunità internazionale ha compiuto molti sforzi per promuovere i diritti del bambino: nel 1924, a Ginevra, fu adottata la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, un documento piuttosto semplice contenente basilari – quanto concrete – garanzie. Così come oggi è dato per scontato, “Il bambino che è affamato deve essere sfamato, il bambino che è malato deve essere curato, il bambino che è in condizioni di difficoltà deve essere aiutato”.
Un viaggio dentro i nostri processi creativi e su come, crescendo, ci siamo dimenticati chi eravamo. "Dobbiamo recuperare il bambino che c'è in noi" - diceva Friedrich Fröbel - "solo così potremmo essere felici".
Quello che per me era un diritto scontato, ha destato una grande riflessione. Così mi sono ritrovata a parlarne ancora, il 5 dicembre presso l'Akademia Pedagogiki Specialnej "Marii Grzegorzewska". http://www.aps.edu.pl/university.aspx
ENGLISH VERSION HERE > http://larceniesoftime.blogspot.com/2015/12/i-had-to-write-something-about-children.html
Sin dalla nascita della società contemporanea, la comunità internazionale ha compiuto molti sforzi per promuovere i diritti del bambino: nel 1924, a Ginevra, fu adottata la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, un documento piuttosto semplice contenente basilari – quanto concrete – garanzie. Così come oggi è dato per scontato, “Il bambino che è affamato deve essere sfamato, il bambino che è malato deve essere curato, il bambino che è in condizioni di difficoltà deve essere aiutato”.
Poi, nel 1959, il documento originale – approvato anche da
figure che sarebbero diventati simboli della pedagogia del Novecento quali
Janusz Korczak – fu ampliato e aggiornato.
Janusz Korczak e i suoi bambini, tutti morti a Treblinka. Fonte: http://www.orecchioacerbo.com/editore/index.php?option=com_oa&vista=catalogo&id=399 |
L’ultima versione è datata 1989 ed è conosciuta universalmente come la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, divenuta
famosa per la vasta diffusione e per l'approvazione che ha ricevuto ovunque nel mondo.
Tutti questi documenti stilano i diritti e
i bisogni dei bambini affinché si agisca nel loro massimo interesse e per la loro
tutela.
L’innovazione della Convenzione del 1989 fu l’introduzione di alcuni
principi moderni, come il diritto alla vita, il diritto ad avere un nome e un’identità,
il diritto ad avere la propria privacy rispettata o il diritto di esprimere le
proprie opinioni che devono “essere ascoltate e tenute in considerazione quando
appropriate”.
È dato per scontato che tutti queste garanzie si siano sviluppate in un’epoca in cui i diritti basilari – come il cibo, l’assistenza
sanitaria, l’educazione – erano già assicurati. Tutti sappiamo che ci sono aree
nel mondo dove nemmeno i diritti basilari sono garantiti e dove molti bambini sono sottoposti
alla fame, alla mancanza di acqua potabile o sono obbligati a
crescere senza educazione e poi a combattere: ma, per oggi, la mia attenzione
vuole focalizzarsi sulla nostra cosiddetta “società sviluppata” e sulle sue
responsabilità e sui suoi doveri.
In particolare, sull’articolo
13 della Convenzione del 1989: “il bambino deve avere il diritto alla libera
espressione; questo diritto include la libertà di cercare, ricevere, impartire
informazioni o idee di ogni tipo, anche oralmente, in forma scritta, stampata, in
forma d’arte o attraverso qualsiasi altro mezzo che il bambino voglia scegliere
e indipendentemente da qualsiasi tipo di barriera”.
Quando ho letto questa disposizione la prima
volta, non ho capito davvero che cosa volesse significare. Ero troppo giovane
ed era difficile per me immaginare un bambino che “impartisce informazioni e
idee” a qualcun altro, così come era difficile dare tanta importanza alle
loro forme di espressione: vagavo con la mente tra i miei vecchi disegni – pile
di fogli colorati, la maggior parte copie di qualche immagine trovata su un libro,
lasciati in cima a un armadio e lì dimenticati – considerandoli solo la
produzione di una florida creatività, niente di più. Solo il passatempo di una
piccola zelante bambina.
Poi, un giorno, sono tornata all'asilo – sarebbe meglio dire alla “Scuola dell’Infanzia” – per un progetto di lavoro e ogni cosa è
cambiata. Aperta la porta, sono stata risucchiata nell’atmosfera infantile:
piccole sedie, piccoli tavoli, piccoli appendiabiti, piccoli armadi. Tutto il materiale necessario era disposto su bassi scaffali che dovevo
stare attenta ad evitare.
Tutto certamente perfetto, a livello pedagogico –
come suggeriva Maria Montessori in “La Scoperta del Bambino”: “aprire e
chiudere i cassetti, le porte e le finestre, riordinare una camera, sistemare
le sedie, tutti questi sono esercizi che permettono al corpo del bambino di muoversi e questo
movimento permette di perfezionare il corpo e la mente”: tutto deve essere “a
misura di bambino”.
Sono diventata adolescente con due
fratelli piccoli, costantemente immerse nei meccanismi dell’infanzia ma, probabilmente
per la gelosia tipica della “fraternità”, non ho mai empatizzato con la loro
età.
Quel giorno, sono stata completamente scioccata nel riscoprire un mondo così
minuscolo e piccino che avevo completamente dimenticato.
E soprattutto avevo
dimenticato quanto quei fogli colorati fossero importanti per me, quando ero
bambina.
L'importante è disegnare, la posizione non conta... Serena Saligari © 2015 |
Non è cosa comune tenere in considerazione
e discutere del processo creativo dei bambini. Forse perché siamo abituati a
vedere la loro fantasia come strana, stravagante, illogica se non addirittura ridicola. Li scherziamo se parlano con il loro amico immaginario, se fanno
parlare i loro pupazzetti, se si immaginano dottori, infermierini, maestre. Questo
“gioco simbolico”, come lo chiamava Jean Piaget, è una componente fondamentale per
il loro sviluppo sociale, ma quando li guardiamo giocare siamo stupiti e impressionati nel sentire le espressioni che
usano – spesso ripetendo, copiando e mischiando i comportamenti che assorbono dagli adulti –
e soprattutto ci dimentichiamo che facevamo così anche noi. È come se, una
volta cresciuti, ci vergognassimo delle cose che eravamo soliti fare.
Invece di giudicare la
loro condotta dovremmo piuttosto lasciare i bambini liberi di esprimere se stessi in
ogni modo – ovviamente nei canoni delle modalità accettate e corrette.
Il “diritto di essere creativi” dovrebbe essere aggiunto e conservato nelle leggi delle nostre società.
Come Ken Robinson dice, "creatività" è “il
processo che consiste nell’avere idee originali che hanno valore”.
In principio,
come dicevamo prima, ogni bambino ha il suo bagaglio di competenze creative che
è nostra responsabilità incoraggiare.
Essere creativi permette di creare nuovi
mondi, di immaginare cose che non ci sono nella nostra realtà. Essere creativi
permette di avere nuovi punti di vista, di vedere al di là delle cose comuni,
di diventare visionari. Essere creativi ci abitua al “pensiero divergente”, ovvero alla possibilità di vedere diverse
soluzioni allo stessa problematica. J. P. Guilford, l’ideatore di questa
espressione, nel lontano 1950 sottolineava gli effetti positivi di questa
attività, che consente ai nostri bambini di diventare elastici, innovativi,
abili nell’adattarsi alle diverse situazioni.
Questi sono i motivi per cui
dobbiamo incoraggiare i loro talenti naturali, le loro abilità, le loro competenze: all'inizio questo stimolarli ci sembrerà inutile e senza risultati significativi, ma
porterà innumerevoli effetti positivi al loro futuro.
Ma esattamente,
cosa fare?
Una
delle migliori vie per stimolare il pensiero laterale è porre “domande stupide”:
non nel senso di sciocche, superficiali o insensate, quanto piuttosto nel senso
di “basilari”: a volte ci dimentichiamo di approfondire il concetto chiave su cui
ci stiamo impegnando. “Sto lavorando sull'immaginazione”: ma che cos'è “l’immaginazione”?
“Voglio stimolare la loro fantasia”, ma che cosa significa “fantasia”? qual è
la differenza tra “fantasia” e “immaginazione”?
Siamo così sicuri di conoscere
il significato di queste parole che non ci preoccupiamo del loro effettivo
significato. E quando proviamo effettivamente a definirli, di troviamo
impotenti di fronte all'evidenza che non siamo in grado di farlo.
Per
questo dobbiamo insegnare ai bambini a prestare attenzione all'etimologia di
ciò che stanno facendo – anche se può sembrare ambizioso.
In un secondo momento, il principale
compito degli adulti è quello di provvedere i materiali, le condizioni, le esperienze
in cui i bambini possano sentirsi a loro agio. Poi, dare loro qualche regola
essenziale – come quella di avere rispetto per gli altri bambini, per i loro
lavori, per i materiali e l’ambiente in cui stanno lavorando.
Ma non dobbiamo dire loro cosa fare. Il nostro
input deve essere solo quello di metterli nelle condizioni di essere creativi. Piuttosto
possiamo stimolarli, dando loro alcuni generali principi da rispettare: “lavora
sulla forma” o “lavora sulle dimensioni”: fondamentalmente “cambialo”, “dagli
una diversa funzione”. Regole molto generali che possono aiutarli a
focalizzarsi in una certa direzione, senza compromettere la loro volontà.
Se un pestello diventa un flauto incantatore... Serena Saligari © 2015 |
E non
dobbiamo essere così preoccupati da questa loro "indefinibile" produzione, che
sicuramente riempirà i nostri armadi fino all'orlo: Bruno Munari le ha dato una
precisa definizione – seguendo il principio dell’approfondire concetti “banali”,
come dicevamo. Può essere chiamata “invenzione” – l’atto di produrre qualcosa
di nuovo che funziona ed è esteticamente attraente. Può essere chiamata “fantasia”
– l’atto di immaginare qualcosa che prima non c’era e che non deve per forza essere praticamente realizzabile. Possiamo chiamarla “creatività” - se uniamo
fantasia e invenzione per produrre qualcosa di originale, che funziona e che è
pure bello.
Serena Saligari © 2015 |
In ogni
caso, queste attività consentono ai bambini di distinguere ciò che è improbabile
da ciò che è pura fantasia, di capire che la realtà cui siamo costantemente
sottoposti non è l’unica possible.
La creatività è oltretutto uno “spazio sacro” dove i bambini possono
esprimere i loro sentimenti: “spazio sacro” nel senso dell’"essere
separato dallo spazio e dalle regole dello spazio ordinario”, come lo ha
definito Gerardus Van Der Leeuw, quindi un luogo dove le regole sociali e culturali
sono sospese al fine di essere liberi da qualsiasi forma di dovere.
Così,
nel pitturare, in un certo modo di danzare, in un’espressione usata per
raccontare una storia, possiamo trovare indizi sulla loro condizione emotiva,
sulla loro identità, sulla loro personalità o sul loro temperamento
Le potenzialità terapeutiche del disegno, usato sia come
strumento di diagnosi che come terapia, sono risapute. Osservando il disegno di un bambino
possiamo inferire aspetti della loro sfera emozionale che essi non sono in
grado di esprimere a causa di qualche blocco psicologico o per la paura delle
potenziali conseguenze.
“Loro
diventano pittori per il fatto che c’è qualcosa che non possono dire”, diceva
Rainer Maria Rilke.
Molti
di noi non hanno le competenze per sfruttare le potenzialità di questo
strumento, ma in un certo modo possiamo diventare più sensibili sulla
potenzialità terapeutiche dell’arte.
Gianni Rodari, scrittore, poeta, pedagogista italiano, ha scritto “Grammatica della
fantasia”, libro in cui ha indagato i meccanismi della fantasia e della
creatività, considerandoli componenti essenziali per lo sviluppo umano.
Secondo
la sua opinione, ogni persona deve avere l’opportunità di portare avanti la sua attività creativa e di sfruttare gli effetti benefici che ne derivano: anzitutto la gioia dell’espressione personale e della giocosa produzione pseudo-artistica.
E se siamo perplessi, basta cercare su
Google “La colazione in Pelliccia” di Méret Oppenheim,
“Il violino d’Igres”o “Lo specchio flessibile” di Man Ray, “Il martello di sughero”
di Chaval o la “Macchina da scrivere molle” di Claes Oldeburg,
il “Codex Seraphinianus” di Luigi Serafini: di sicuro la sensazione che ne deriverà
sarà di meraviglia.
Scopriremo che i nostri bambini
sono uguali a degli artisti, per la somiglianza delle loro produzioni con
quelle di questi celeberrimi artisti. E la certezza che siano pazzi si
sgretolerà rapidamente!
A volte “creatività” significa “distruggere
per ricostruire”: le cornici socio-culturali e la conoscenza riconosciuta
devono essere scosse, ribaltate, combinate per guardare il mondo da un’altra
prospettiva, come nelle opere d’arte citate.
"La colazione in Pelliccia", Méret Oppenheim, 1936. Fonte: |
E bisogna essere aperti: è sufficiente dare
un’occhiata alla natura per scoprire “arte” e splendore che siamo soliti
pensare possano esistere solo nella nostra mente: Bruno Munari e Leo Lionni, rispettivamente in “Good
Design” e “la Botanica Parallela” ci insegnano proprio a stupirci di fronte a
forme tanto strane, a colori e funzioni che diventano possibili anche nel
nostro mondo terrestre.
Da "La Botanica Parallela", Leo Lionni, 1976. Fonte: |
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