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venerdì 24 agosto 2018

SENSI di VIAGGIO I - Prepararsi alla partenza

"Pensare il viaggio significa veder scorrere davanti al proprio occhio interiore una metafora di paesaggio. Stando fermi, come davanti a uno schermo. Si è registi e spettatori di quel viaggio, non attori. Spostarsi fisicamente, questo fa la differenza" - Marco Aime, Sensi di Viaggio.

 Chi mi conosce sa, forse suo malgrado, che è veramente tanto tempo che pianifico questo viaggio, sicuramente da più di un anno. Eppure, in questi giorni di concitazione e paure, mi è capitato più volte di faticare a trovare un senso, anche uno solo.
La paura dell'ignoto ha sempre una forza annientante, pur nella consapevolezza di aver preparato tutto nei minimi dettagli; così, mi sono ritrovata incredula a pensare alla partenza, a realizzare che fosse così vicina, vera e concreta.
Allora ho fatto un respiro profondo, ho provato ad annullare tutto e a partire con un viaggio interiore alla ricerca dei "sensi" che in questi anni si sono accumulati per costruire questa partenza.
 E' molto lontano il primo ricordo che ho di aver pensato che la Giordania mi ispirava molto come paese: sicuramente avrò visto qualche documentario su Petra e ne sarò rimasta affascinata. - senso di viaggio n°1.
 Poi lo studio dell'Arabo e l'avvicinarsi con libri, lezioni e incontri alla cultura di quell'angolo di mondo, con l'inevitabile pulsione interna di andarci per davvero - senso di viaggio n°2.
 Quando mi sono iscritta alla magistrale ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto partire ancora, ma questa volta per andare in un posto davvero diverso: in fondo, l'antropologo ha bisogno di stupirsi e di rimanere anche un po' disorientato se vuole fare davvero il suo lavoro, che poi si riduce a generare tante domande e a trovare almeno qualche risposta - senso di viaggio n°3.
 Un po' per esclusione di paesi geopoliticamente bollenti, un po' sull'onda di questo fascino per il Medio Oriente, ho deciso "di pancia" che la Giordania sarebbe stato il mio obiettivo. senso di viaggio n°4.

 Sebastião Salgado, da Exodus.
Il percorso fin qui è stato lungo, non solo nel tempo, ma soprattutto negli step necessari a realizzare questa partenza: bandi ritardatari, applications titubanti, proposte di ricerca in lingua inglese riscritte mille volte, partnership da siglare, uffici sordomuti, dozzine di mail, contatti, rifiuti, incomprensioni, revisioni delle suddette applications, strutturazione "organica" del progetto di ricerca, bibliografie, prenotazioni, voli, vaccini...e chi più ne ha più ne metta.

Così, eccoci qui, a meno di 24 ore dalla partenza, con Aegean che mi spamma di email per ricordarmi del volo e con un'unica consapevolezza: il viaggio sarà sicuramente più rilassante dei preparativi, nonchè notevolmente più limitato in termini di tempo - soli 3 mesi.

E allora, nella fatica di questa partenza, una voce interiore mi dice che i sensi del mio viaggio non possono essere solo questi, così pragmatici e forse anche un po' rudi.

Come per tutti i viaggi, ho voglia di scoprire posti nuovi, di incontrare persone diverse che vivono, mangiano, parlano e salutano in modo diverso. Ho voglia di riattivare la mia modalità "devo-vedere-ogni-angolo-di-questo-paese", ho voglia di fare cose nuove, di farmi domande - ecco, questo giusto perchè dovrei scrivere una tesi di laurea... 😮
Ho voglia di spezzare dall'ordinario, di prendermi del tempo per stare con me stessa, di dedicarmi a qualcosa di totalmente differente e, credo, irripetibile. 
Dicono che viaggiare è un modo per incontrare se stessi, chissà se mi piacerà 😉
Ho voglia di stupirmi, meravigliarmi nel negativo e nel positivo, ho voglia di adattarmi, scontrarmi con le abitudini del posto, piegarmi alla differenza fino ad accettarla.
Ho voglia anche di quelle componenti un po' melanconiche di un viaggio: di annoiarmi in un posto lontano, di sentirmi sola lontana da casa, di avere nostalgia delle mie abitudini.

Così, quanti sensi di viaggio....

Ma poi, cos'è un senso? "Voglio trovare un senso..." cantava Vasco, ma che cos'è il senso?
E' incredibile come nella nostra quotidianità ci siamo allontanati così tanto dal primo senso della parola senso - mi scusino il gioco di parole. Da quello più pratico, materiale, tangibile.
Quello che passa attraverso i sensi, quelli lì, che ci insegnano a scuola- vista, udito, tatto, gusto e olfatto.
Ogni sensazione, che secondo me è pure una parola bellissima, è uno stato di coscienza prodotto da un senso, esterno o interno che sia.
Così, attraverso i sensi, tutto il mio viaggio assume un senso - anzi, ne assume parecchi: tutto, ogni scelta, ogni arrabbiatura o delusione sono state, col senno di poi, delle sensazioni fortissime e insostituibili quanto necessarie. 
Ho visto e udito tante cose sulla Giordania, molte altre spero di gustarle, annusarle e toccarle.
Ma soprattutto, questo senso interno che abbiamo nella pancia e che ci fa agitare, emozionare, spaventare, questo spero che sia attivo più che mai nei prossimi tre mesi. 

Mi sento di essere stata un po' contorta e, senza offesa per la categoria, un tantino new age.

Eppure Aime, che oltre ad essere un grande antropologo è soprattutto un gran viaggiatore, mi ha fatto tornare a questa dimensione ancestrale del Vivere ricordandoci di dare retta ai SENSI. 
Spero che in ogni giorno di questo percorso giordano troverò un nuovo Senso di Viaggio che, spostandomi, mi permetta davvero di "fare la differenza".
Che, soprattutto, mi permetta di essere attrice e interprete di un viaggio che al momento è solo metafora, e scorre sullo schermo del mio - e vostro - PC.

"Pensare il viaggio significa veder scorrere davanti al proprio occhio interiore una metafora di paesaggio. Stando fermi, come davanti a uno schermo. Si è registi e spettatori di quel viaggio, non attori. Spostarsi fisicamente, questo fa la differenza" - Marco Aime, Sensi di Viaggio.


 Sebastião Salgado, da Exodus.


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