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venerdì 5 ottobre 2018

SENSI di VIAGGIO XXXVI: essere (felice) ostaggio di una famiglia locale

È mooolto difficile che io dica di no a qualcosa, soprattutto quando sono in viaggio. Ma se mi vengono proposti falafel e hummus per colazione scatta la sopravvivenza.
L'amico Giordano che pensava di portare avanti questa idea si è ritrovato spiazzato e dato che venerdì è pure giorno di festa, per un attimo le cose sono sembrate volgere al peggio.
Tuttavia, ha avuto un'idea brillante e insuperabile: portarmi da qualcuno di veramente locale, di fortemente "tipico".
In un posto in cui non avrei rifiutato nessuno tipo di cibo perché troppo estasiata dall'atmosfera e dalla compagnia.
Mi dice solo "ti va di fare colazione all'ultimo piano di questo palazzo?". Nella mia positiva rassegnazione alle sorprese mediorientali, non riesco a fare altro che un mezzo cenno di assenso.
Mentre lui sale convinto le scale, io lo seguo stranita, cominciando a presumere che non si tratti di un locale, ma della casa di qualcuno.
Suoniamo il campanello, lui si nasconde e io rimango come una scema davanti alla porta: una ragazza bellissima esce strillando il suo nome, pur avendo visto solo me.
Credo che, nella sequela di parole successive, l'abbia insultato bonariamente per il suo solito modo scherzoso. 
Mi trascinano dentro, tutti urlano, spuntano un'altra ragazza bellissima, un bambino e una signora che mi sembra subito "un personaggio".
Cominciano a urlare strane cose, ad allungare le vocali in segno (credo) di stupore e meraviglia - non per la sottoscritta, ovviamente: credo piuttosto per l'onore di avere in casa una ragazza straniera.
Mi salutano - mano tesa, bacio guancia sinistra, bacio guancia destra ripetuto 3 volte in modo cazendato - della serie che non sai quando il convenevole mai finirà - e dopo tre secondi già sono diventata "habibi" - حببي amore/tesoro mio.
Portano il cibo per colazione, la shisha e cominciano a ballarmi intorno. Non so come tutto questo sia successo, troppe azioni, troppo veloci, in troppo poco tempo.
Le ragazze mi sciolgono i capelli e cominciano a rigirarseli tra le dita: sono così stupita e felice che non riesco a dire niente, nè a opporre resistenza.
Il mio amico ride a crepapelle e si limita a confortarmi dicendomi "sono pazze".
Molto bene. 
La cosa che ancora non ho detto è che tutto questo succede mentre cerchiamo di fare colazione - santo cappuccio e brioches: le tre donne di casa continuano ad avvicinarmi le cose, come se potessi mangiarle tutte nello stesso momento. Una di loro addirittura decide cosa devo mangiare, facendomi una specie di panino personalizzato. Mi giro e un'altra mi sta letteralmente "ficcando" un intero pomodoro in bocca.
Sto ancora cercando di masticare che arriva la madre e mi solleva dal divano con uno strattone: comincia a ballare e cantare nel salone e ovviamente pretende che io la segua. 
Se c'è stato un attimo di reticenza, le figlie sono subito arrivate (entrambe) a sanarlo, prendendomi per mano e guidando i miei "movimenti".
Ed è così, a capelli sciolti, tra un formaggino fritto e un boccone di olio e za'atar, che sono stata ufficialmente  battezzata (il famoso "battesimo di fuoco") e introdotta nella vita di questa famiglia palestinese.
Così tanto introdotta che ancora ora, abbandonata dal mio amico appena prima di pranzo, sono loro ostaggio - ebbene sì, non mi hanno lasciata andare a casa a dormire!
Un ostaggio attonito e felice, dopo una giornata mangereccia e conviviale, linguisticamente provante nel mio misto inglese/arabo/risata/sorriso/assenso/tentato dissenso - che sempre fallisce perché nulla si può rifiutare.
Dopo molte danze, dopo molte magie, dopo aver letto il futuro in una tazza del caffè, dopo aver espresso desideri con l'acqua della Mecca.
Dopo essere stata sottoposta a dolorosi trattamenti estetici locali, dopo essermi affidata alla medicina tradizionale per curare le punture di zanzara, dopo aver osservato per ore la città dall'alto del colle e dopo essermi accorta che tutto questo è successo in una sola giornata.
Ma non posso che farne una sintesi, perché in mezzo ci sono (molte) altre storie.






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