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giovedì 1 novembre 2018

SENSI DI VIAGGIO XLVI: una sera a Petra

Firas arriva a dorso di mulo, scuotendo il suo smartphone e sorridendomi. "Conosci questa ragazza?", mi chiede mostrando una mia foto.


Il nostro amico comune, che sta ad Amman, mi ha messo sotto la sua protezione. Mi abbraccia come se ci conoscessimo da sempre e mi dice che sono la benvenuta. 
Da quel momento la nostra visita a Petra di trasforma da super turistica a un'avventura in pieno stile beduino.
Mi porta sotto le tombe reali, dove c'è la tenda di sua cugina, una donna bellissima che vende artigianato.
Prepara la shisha e il tè, ci sediamo sulle rocce e guardiamo le frotte di turisti assolati da quel punto panoramico.
Mi sento subito a casa in compagnia di quella nuova famiglia beduina che sembra così onorata di conoscermi. In nessun posto, come in Giordania, mi sono resa conto di quanto siano preziosi i legami amicali, le connessioni, le conoscenze. Essere amica di amici è un lasciapassare incredibile. Ieri, mi ha permesso di vivere un'esperienza incredibile che probabilmente non è per tutti i turisti ;-)


Quando Firas valuta che si sia fumato abbastanza, prendiamo Monica e Bounty, i suoi due muli. Siamo diretti al punto panoramico che dà sul famigerato tesoro di Petra. Da lì, potremmo ammirare lo spettacolo di Petra by night, ma soprattutto i milioni di stelle, la brezza del deserto e una quiete irraggiungibile.
Il sole è già calato, subito è buio. Trotterello nel siq a dorso di Bounty, la stretta via tra le rocce spaccate dal vento sembra chiederci di assorbire quel poco di luce rossastra che rimane.
Poi ci arrampichiamo per una via impervia, i pochi turisti rimasti ci guardano stupiti, qualche beduino parla in arabo con Firas: capisco solo che lui garantisce per noi.
É buio, le luci dei cellulari a illuminare quelle rocce scivolose da scalare per raggiungere la cima. Firas sembra poter arrampicare a occhi chiusi, ma è premuroso e mentre regge la pila con una mano, con l'altra ci aiuta nei passaggi difficili.
Nel frattempo, raccoglie la legna per il fuoco.



Quando raggiungiamo il suo posto segreto, non abbiamo parole. Il tesoro si staglia lì sotto, pacifico ma determinato nel suo carico di storia. Sembra che riposi, dopo i 4000 turisti in media per giornata, tutti lì per contemplarlo.
Siamo su delle rocce altissime che si stagliano per chilometri, è impossibile vederne la fine. L'aria è fresca, Faris mi prende per mano e mi porta al limite del precipizio: "do you wanna fly? Jump. But I respect culture, women first" (vuoi volare? salta. Ma io rispetto le tradizioni: prima le donne). Scherza.
Ci sediamo su una roccia, 300 metri sotto i nostri piedi qualcuno comincia ad accendere le candele per lo spettacolo serale. Siamo avvolti in una "farua" - la tipica giacca beduina - e l'aria fresca ci sferza il viso. "Jack Sparrow" mi dice, e mi mette in testa la sua kefia, annodandola al modo beduino e allacciandomi gli estremi davanti alla faccia.
Così, con solo gli occhi a poter contemplare quella meraviglia del creato, li alziamo al cielo. Ci sono milioni di stelle, qualcuna cade sotto i nostri occhi, forse a lanciarci un messaggi.
Mi chiedo quanti desideri possano esprimere i beduini ogni giorno e Firas mi risponde "beduin never gives up" (il beduino non si arrende).
Ci sdraiamo così, su quella roccia levigata, lasciando i piedi penzoloni nel vuoto. 
Non ho idea di quanto tempo sia passato, in quella quiete infinita che ti parla, che ti sussurra nelle orecchie con il vento e che ti punzecchia la pelle con il frescore della notte, ma sei lì e guardi le stelle a cercare qualcuno o qualcosa che non sai.




La cena è quasi pronta, gli amici beduini di Firas ci chiamano: hanno fatto un fuoco e cotto polpette e patate in un cartoccio di stagnola. Fumano la shisha mentre ultimando la cottura. Poi tutti intorno a mangiare dallo stesso piatto pescando quelle polpette speziate con il pane.
É tempo di ballare, i 4 Jack Sparrow si alzano in piedi e iniziano a ciondolare. É il loro modo di ballare la Dabka, la danza tradizionale Giordana. I loro capelli lunghi si muovono sotto le kefie, gli occhi luccicano nell'assenza di luce e il kayal dei loro occhi sembra ancora più forte.
Balliamo, e mi insegnano quei passi cadenzati e pesanti, come a muoversi in una danza senza tempo. Si balla intorno al fuoco fino a quando dal tesoro di Petra cominciano a salire i flauti dello spettacolo serale. Ricomponiamo la quiete, ascoltiamo il liuto che vibra fin lassù.
























Mi sento così, forse felice, forse estasiata, forse non c'è il nome per questa emozione. Sicuramente, avvolta nella mia farua, mi godo quel torpore mentre il cielo mi schiaccia negli occhi milioni di stelle.
Come siamo scesi da lì, come siamo tornati all'uscita, e soprattutto le avventure mattutine di oggi, sono definitivamente un'altra (bellissima) storia.
Ma quella di ieri è stata così speciale, così emozionante, che ancora ho nel cuore un guizzo che sta per scomparire, ma che cerco di trattenere.
A domani, dunque, per il resto del viaggio.

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