All'alba, dopo forse 4 ore di sonno, siamo di nuovo a Petra. Pochi turisti ciondolando nel siq per raggiungere il tesoro. L'aria fresca del mattino è un pizzicotto sulla pelle, il vento fruscia leggero tra i capelli, unico rumore in quella città ancora incantata. Tra poche ore, migliaia di turisti si riverseranno qui con tutto il loro cicaleccio: ci godiamo quella calma preziosa, soddisfatti per aver accettato il trauma della sveglia.
Sono ancora incredula per la serata precedente, ma in cuor mio so che questo posto ci stupirà anche oggi.
Dovremmo incontrarci con Firas al tesoro, poi proseguiremo per il monastero che sta su un'altura a qualche chilometro di distanza. Mentre lo aspettiamo, un altro beduino ci si avvicina: quando gli diciamo che aspettiamo Firas esclama con sicurezza "è mio cugino, venite, andiamogli incontro".
Prendiamo Bounty, che era stato "preso in prestito" da questo cugino per la notte e ci avviamo verso sud. Firas ci viene incontro sorridente con due cammelli: li fa "sedere", in modo che possiamo salire sul loro dorso. Il cammello ha le gambe così lunghe e così sottili che per inginocchiarsi si lascia cadere sulle ginocchia improvvisamente. Lo stesso quando si rialza, con uno scatto improvviso prima in avanti e poi indietro, nell'alternanza delle sue zampe.
Percorriamo la via di Petra, il teatro romano a destra, le tombe reali sulla sinistra. Raggiungiamo il grande tempio e le altre rovine romane che giacciono in secoli di storia.
É ora di cambiare animale, dobbiamo inerpicarci dentro un Wadi - valle - e il cammello non è abbastanza agile. Monica e Bounty, i due muli, sono abituati a portare fino a 400 chili, ma quando vedo quanto è irto, roccioso e pendente il sentiero mi sento male per loro. In più, io e Firas condividiamo il povero Bounty, che si trova così con almeno 150 chili sulle "spalle".
Sinceramente ho paura che il mulo scivoli - in alcuni parti il sentiero è esposto su un precipizio - ma Firas ride e mi rassicura dicendo che i muli sono gli animali più forti di sempre e che non sarò certo io dall'Italia a sfatare il mito.
Mentre saliamo a strattoni e mi reggo alle redini, mi guardo intorno e cerco di fare alcune foto. Siamo tra due muri di roccia, ogni tanto ci sono delle caverne. La gente ci fa capolino, dato che vive qua: è così magico percorrere quel sentiero e vedere le persone che si svegliano e cominciano le loro attività della giornata. Incontriamo soprattutto donne, pronte a sistemare la casa, adempiere alla faccende domestiche e preparare le bancarelle con la merce che cercheranno di vendere ai turisti. Saliamo, saliamo sempre di più: i gradini di roccia sembrano scivolosi e lisi dal passaggio quotidiano di così tante persone, ma i muli procedono sicuri. Non c'è ancora nessun turista qui, davvero possiamo dire di essere i primi della giornata.
Firas non ci dice niente, ma a un certo punto appare sulla sinistra il Monastero: è tanto bello quando il Tesoro, ma ha il fascino delle cose nascoste, segrete. Se ne sta lì, con una specie di piazza davanti, a dominare il Wadi, bastione incontestabile della bellezza di Petra.
Il sole comincia ad essere caldo. C'è una specie di ristorante, ci sediamo, prepariamo la shisha e facciamo colazione con un sandwich di falafel. La bandiera giordana sventola sicura nel vento e la foto del re sta appesa in una grotta: sorride e stupidamente mi viene da sorridergli di riflesso, beata in quel posto solitario e prezioso.
Ci prendiamo un po' di tempo per riposare, nessuno di noi vuole scendere da lì.
Quando decidiamo che è ora di andare, risaliamo in sella a Bounty e Monica: la discesa potrebbe sembrare più spaventosa, ma in realtà mi sono abituata a questa andatura apparentemente precaria.
I turisti cominciano a risalire il sentiero, stanchi. Sono pigramente grata a Firas per averci portati lì col mulo.
Visiteremo il tempio romano, la chiesa bizantina, il teatro romano; mi farò mettere il Kajal direttamente dai beduini, fumeremo un po' di shisha all'ombra di una tenda, guardando i turisti che cominciano ad ingorgare il sito.
Non vogliamo salutarci, nemmeno se il Wadi Rum ci aspetta, nemmeno se Firas ci invita a tornare tutte le volte che vogliamo. C'è un vento feroce, che alza la sabbia e la getta negli occhi. Trotterelliamo sul mulo verso l'uscita attraverso una via secondaria e rialzata. Ammiro per l'ultima volta la bellezza di Petra coprendomi il viso con la Kefia. Firas mi chiede se va tutto bene: anche se sorrido, sono molto triste di lasciare quel posto.
Le ultime 20 ore sono state le più assurde, intense, vivaci di tutta la mia permanenza di Giordania.
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