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mercoledì 17 ottobre 2018

SENSI di VIAGGIO XLII: storie sudanesi


Anche per Aziz è arrivato il giorno del commiato, della partenza, del salvataggio. La sua famiglia ha deciso che non c'è più tempo per metterlo in salvo, raggiunta quell'età pericolosa in cui sei giovane e forte e diventi bersaglio prediletto per le milizie del governo.
I demoni a cavallo, così li chiamano in Darfur, uccidono chiunque possa unirsi ai "ribelli". Ovviamente, non c'è modo di convincerli che loro sono solo una famiglia come tante, dedits all'agricoltura e al commercio su piccola scala.
Aziz parte, con il cuore in gola e con l'unica speranza di rivederli ancora. Con l'unico desiderio che un giorno possa riabbracciare mamma, papà e le sue tre sorelle. Non importa quanto si debba aspettare, l'importante è saperli vivi.
Ad oggi, sono passati dodici anni. Aziz li conta, dal 2006 ad oggi, sulle dita delle mani. Sono troppi, eppure non ha perso la speranza. Per anni non ha avuto loro notizie. Solo quando ha lasciato il Sudan per venire in Giordania, con molti dubbi e con l'unico desiderio di tornare in Darfur anche solo per qualche ora, un lontano cugino lo ha sconsigliato. "La situazione peggiora", dice. Peggiora, peggiorare rispetto a cosa? 
Aziz ha vissuto per otto anni nella periferia di Khartoum. É arrivato nella capitale vagando come un pazzo, senza contatti o persone fidate.
Qualcosa lo ha spinto a rifugiarsi in campagna, ai lati della città.
 Un giorno si sveglia e c'è un uomo che lo chiama, incuriosito da quella presenza ai margini del suo podere. É un contadino, sembra "innocuo", ma Aziz non si fida. Sa bene che il governo ha messo spie in ogni dove per trovare i Darfuriani e continuare il massacro.
Resta sul vago, ma il suo accento è chiaro e teme il peggio. Ma la fortuna vuole che ha incontrato un uomo mite e di cuore: lo porta nella sua fattoria, gli dà da mangiare, gli permette di dormire in un posto coperto.
Aziz è un "omone": fatico a immaginarlo timoroso, spaurito, spaventato. Eppure non ha problemi ad ammettere che per giorni è morto dalla paura, aspettando qualche "ufficiale" del governo che lo uccidesse lì, in quella fattoria ai margini della capitale.
Ma i giorni passano e nessuno arriva. Il buon uomo comincia a sembrargli fidato. Aziz non ha piani, non ha un posto alternativo dove andare nè un lavoro da cui ricominciare.
Così accetta di rimanere e di aiutare quel sudanese "puro", senza geni darfuriani o cristiani, a portare avanti la sua fattoria.
In quegli otto anni imparerà un mestiere, si occuperà delle bestie, della mungitura, del raccolto. Ogni azione gli ricorda i bei tempi in cui, col padre, curava la campagna e poi tornava a casa e trovava la madre intenta a cucinare i prodotti del loro raccolto. Il Darfur era una terra rigogliosa, ricca di acqua e di risorse. La maggior parte della popolazione era ricca rispetto alla media sudanese, ognuno aveva una fattoria, del bestiame, ognuno era impiegato nel commercio su piccola scala. Una terra da depredare, almeno dal colpo di stato del 1989.
In quegli anni Aziz si impegna soprattutto in una missione: dimenticare le sue origini. Ogni giorno pratica il dialetto locale, nella speranza di perdere il suo accento. Ogni giorno impara usi e costumi del posto, cercando di nascondere le sue origini.
Nel frattempo, ha messo via un po' di soldi e decide di iscriversi all'università. Continuerà a lavorare nella fattoria, facendo da "pendolare" tra la campagna e la città.
Il primo giorno di università, un uomo gli si avvicina e gli chiede "ehi amico, da dove vieni?". Aziz ha un tremito. "Da Khartoum". "Da Khartoum? Non sembri di qui! Non assomigli alla gente di Khartoum". "Ma sì, sono di Khartoum, è che vengo dalla campagna". "Ah, dalla campagna, ecco il perché di questo insolito accento". Aziz è conscio che quella possa essere una spia. Sta per mostrargli il passaporto, con il suo nuovo "National number". Ma poi lascia correre, cerca di sembrare disinvolto.
Aziz si è laureato in Business and Administration. Poi è venuto in Giordania, perché la cosa più importante per lui è "connettere le persone, continuare ad avere speranza, dare un senso alla propria vita anche fuori dal Sudan". 
Oggi lavora in una NGO che si occupa di rifugiati. Qualche giorno fa è riuscito a recuperare il numero della sua famiglia, grazie all'incredibile solidarietà africana. La sua famiglia ora vive in un campo profughi in Sudan. Ha parlato con sua madre dopo dodici anni. Mi chiedo come faccia ad essere così forte, così positivo, così grato. Mi chiedo come faccia ad anteporre ancora la speranza alla malinconia, alle preoccupazioni e al dolore. 
Quando arriva a casa mia è voglioso di parlare, è eccitato dall'idea di raccontarmi la sua storia.
Quando finisce di parlare, mi abbraccia e mi dice "I am sorry, this is too much for a girl".
For a girl. 
Attonita, resto lì immobile a cercare di immaginare la sua vita. Nel frattempo, Aziz prepara un tè, in un certo qual modo, mi consola.
Poi sdrammatizza: "sono vivo".

martedì 16 ottobre 2018

SENSI di VIAGGIO XLI: l'uomo nero, in Giordania.


In Sudan, nell'indifferenza della comunità internazionale, si sta compiendo uno dei più atroci genocidi della storia contemporanea.
Prima di iniziare la mia ricerca in Giordania, non sapevo quasi niente del Darfur. A mala pena sapevo collocarlo sulla mappa e ciò che balzava alla mia mente erano scene di guerra e distruzione che posso aver visto solo in un qualche film - tipo nell'inizio di Blood Diamonds.
Quando ho iniziato a parlare con questi ragazzi, rifugiati in Giordania dal Darfur, ho scoperto tante cose. Soprattutto, ho scoperto che lo scenario che immaginavo è molto peggiore nella realtà.
Ogni giorno spendo ore con questi ragazzi, nelle loro case, al parco, in downtown. Beviamo un goccio di Whisky, andiamo a mangiare uno knafeh e fumiamo qualche sigaretta, anche se è "haram". E parliamo, parliamo, parliamo di sogni infranti e di atroci verità. 
Sono tutti uomini, tutti tra i 20 e i 30 anni, tutti soli. Soprattutto, sono tutti orgogliosamente neri in un mondo che non li vuole.
Io faccio loro qualche domanda per la mia ricerca, ma ogni volta realizzo che è impossibile contenere le loro storie nella rigidità della mia "intervista strutturata".
Allora accendo il registratore, poso la penna e li lascio parlare. Ascolto le loro parole con angoscia e ammirazione per quello che hanno passato e per come sono riusciti a superare quelle difficoltà.
Nel mio cuore sono così grata e cosi stupita che si fidino di me e che mi raccontino vicende tanto personali. Non credo di aver fatto niente per meritarmelo, se non aver mostrato interesse per la loro situazione. Ci sono frasi che mi rimarranno sempre impresse nella mente e so che la narrazione in prima persona incisa sotto forma di note nel mio registratore, è irripetibile.
Sono tutti giovani della mia età, belli, forti, e pieni di vita. Sono tutti giovani della mia età, scappati dai miliziani che li avrebbero reclutati o uccisi.
Chiedo delle loro famiglie e so che quasi sempre scuoteranno la testa e passeranno oltre. C'è chi non sa più niente di loro, chi racconta che solo le donne sono superstiti, chi, con dignitosa rassegnazione, prende su di sé tutte le responsabilità dicendo "noi non ce l'abbiamo con nessuno, è il nostro stesso governo che ci ha uccisi".
Questi ragazzi vogliono solo vivere in pace, dopo che il loro governo ha iniziato a massacrarli in nome di qualche tribalismo. In Giordania affrontano decine di problemi ogni giorno, ma almeno sono al sicuro. E di questa sicurezza sono così grati da non darla mai per scontata.
Attendono ogni giorno una chiamata da UNHCR, sperando di essere stati scelti per il ricollocamento. C'è sempre qualcosa (o qualcuno) che si mette in mezzo, e loro rimangono qui, infangati in una situazione paradossale di sopravvivenza e di attesa.
Molti avrebbero voluto tentare la via della Libia, ma - insha'Allah! - sono stati consigliati verso la Giordania, più facile e sicura da raggiungere. Ognuno di loro ricorda qualche amico che si è perso in mezzo al mare. 
É così che arrivano a chiedermi dall'Italia, e allora divento io il bersaglio dell'intervista. In una delle loro case c'è una grande carta geografica dell'Africa, appesa al muro. Ognuno si avvicina, traccia il suo percorso. Poi tocca a me - perché i ragazzi proprio non si spiegano perché io sia voluta venire in Giordania, se i rifugiati ce li avevo in casa. Allora provo a semplificare: parlo di Lampedusa, dei salvataggi, dei ragazzi come loro che ho incontrato nei CAS e nelle comunità.
Parlo dei miei amici neri che sono in Italia e aspettano, aspettano, aspettano anche loro, ogni giorno, per qualcosa che non si sa se arriverà. E la loro empatia è così forte che sento di essere il loro tramite, sento che vorrebbero connettersi con loro, conoscere le loro storie, confrontarsi su questi percorsi così diversi ma così simili nei motivi della fuga.
Io sto lì, a metà tra lo sfinito e il disilluso, a cercare di dipingere un'Italia che oggi potrebbe essere migliore, ma che, invece, va cercando qualcos'altro. Che si è rassegnata all'odio, alle accuse, alla via facile di un capro espiatorio.
Non me la sento di mentire, di dire che le cose vanno bene, che l'Italia è un posto ospitale. Non me la sento di dire che lì saranno al sicuro, perché ogni giorno c'è un nuovo caso di violenza razziale e un nuovo attacco politico agli "immigrati". Perché ogni giorno noi italiani preferiamo mistificare la realtà e creare un nemico ad hoc per tutti i nostri problemi, piuttosto che uscire dalle nostre case, dai nostri preconcetti, dalle nostre paure e incontrare qualcuno di loro. 
"Portami via, che mi sento di morir". 
Tiro un sospiro di sollievo quando qualcuno mi dice "Io voglio andare in Canada".
Io so di parlare da una posizione privilegiata, so che le mie riflessioni possono sembrare semplicistiche, sentimentalistiche e pure un po' spocchiose. So di avere un passaporto forte e mi muovo disinvolta nei privilegi di questo neocolonialismo, ben conoscendo il trattamento preferenziale riservato agli stranieri d'Occidente.
Eppure, ogni volta che raccolgo una delle loro storie sono grata a me stessa per non essere razzista. Sono grata a me stessa per essermi sempre data la possibilità di incontrarli, di parlare con loro, di accettare il loro cibo, le loro storie, la loro musica. Ogni volta che vado in casa loro e le persone si moltiplicano intorno a me perché vogliono aggiungere un pezzo della loro storia alla mia ricerca, ogni volta che perdo la cognizione del tempo e resto a casa loro fino a tarda sera, ogni volta che mi alzo in piedi e spiego loro l'Europa, i confini, Ventimiglia, Calais e il sistema di Dublino, ogni volta che io, unica donna in mezzo a tanti uomini neri, torno a casa e me ne sto sola, finalmente, nella mia stanzetta, sono grata a me stessa per non aver avuto paura.
É la paura, che ci fotte ed è sulla paura che stanno giocando.
Io non ho paura, e ogni giorno realizzo che non c'è posto più sicuro in Giordania in cui io possa stare delle umili case dei miei amici Sudanesi.
A volte pure io mi meraviglio. Mi meraviglio della loro intelligenza, della loro voglia di studiare, della loro lungimiranza, della loro consapevolezza del mondo.  Mi meraviglio e mi vergogno per come siano consci degli stereotipi che si perpetuano su di loro - primo tra tutti l'idea del maschio nero ipersessualizzato, su cui cercano sempre di sdrammatizzare. In fondo pure io sono preda dei preconcetti e più di una volta ho pensato che fossero ignoranti, semplici, sprovveduti. Ma l'altro giorno un ragazzo mi ha detto "tutti pensano che siamo neri e quindi siamo scemi e, soprattutto, siamo poveri. Come se fossimo nati poveri, come se questa fosse la nostra natura. Nessuno pensa che avevamo una vita normale, prima. Nessuno pensa che avevamo una vita come la loro". Ecco, una vita come la loro, cioè come la nostra. 
La paura di un nero uguale a noi, la paura di un nero che vive come noi, la paura di un nero che ha una vita come la nostra.

Proverò a raccontare qualcuna delle loro storie, nei miei prossimi racconti. Foss'anche solo per dimostrare che quelle di oggi non sono solo delle riflessioni sentimentali ed estemporanee a conseguenza di qualche intervista troppo toccante. Ognuno di loro merita di essere incontrato e ascoltato. C'è sempre qualcosa da imparare, almeno secondo me.

lunedì 31 ottobre 2016

FILE di LIBRI o LIBRI di FILI?

  Vogliamo qui proporre un compendio di libri per l'infanzia (ma perchè no? anche per adulti) che sono percorsi da uno o più fili. Non è importante se questo filo è concreto o esiste solo nella realtà della narrazione: ci interessa creare un "catalogo" attraverso il quale comparare i diversi tipi di narrazioni e di messaggi che si possono costruire attraverso il tema dei fili e, soprattutto, dedurne le valenze comunicative ed educative.

Hai in mente qualcosa che per ora non compare tra i titoli qua sotto? Scrivici :)




Iniziamo con un semplice assunto: un filo può essere tante cose. 
IL FILO ROSSO, di Francesco Pittau e Bernadette Gervais, è un filo che “si srotola piano piano dal suo gomitolo” e che ci invita a seguirlo. Tra diverse forme, orientamenti, direzioni e... garbugli, ci permette di scoprire la natura cangiante e flessibile del filo, che può modificarsi e cambiare fino a diventare molte cose...
EDIZIONE: Castoro, 2005.






Un altro filo che si srotola e che ci cattura nella magia del suo dispiegamento è quello del bellissimo leporello double-face SUR LE FIL di Ilaria Demonti: un filo che diventa una traccia, una scia, una fune, un cavo, una linea, tutti accomunati dalla volontà di estrarre fili dall'enorme varietà d'usi del nostro quotidiano e di riportarli alla nostra attenzione.




EDIZIONE: Lirabelle, 2014.

L'idea del Filo rosso, o del fil rouge per dirla alla francese, è un'espressione che per antonomasia indica un legame che unisce fatti, circostanze o oggetti: deve la sua fortuna a Goethe, che lo usò in Le affinità elettive come esemplificazione dei legami che più o meno casualmente nascono tra le persone. Ma come espressione ha un origine molto più lontana e, per certi versi, molto più pratica: è legata infatti alla tradizione marinaresca, in quanto per districare le gomene di una nave si seguiva un filo rosso che rendeva possibile separare l'una dall'altra le corde aggrovigliate. 


                                      
È questa l'idea della collana FILO ROSSO di Artebambini: sia in LA CITTA' che in IL GATTO E LA LIBELLULA un cordoncino rosso accompagna la narrazione, perdendo flessibilmente la sua identità primaria e svolgendo molte altre funzioni.

Artebambini, 2014.

Artebambini, 2014.
In LA CITTA', la narrazione diventa ancora più interessante, giocandosi tra luci e ombre, tra contrasti cromatici, tra Negativi-Positivi, come direbbe Bruno Munari: c'è una possibilità di double-focus, in cui l'importanza degli sfondi, dei posizionamenti e delle sovrapposizioni è ciò che col filo guida una storia priva di parole. Il cordoncino che lo attraversa costituisce una sorta di facilitazione all'opera di uno story-making obbligato, dato che le parole “leggere sono volate via la prima volta che il libro è stato aperto” e delle immagini non resta che l'ombra.



PER FILO E PER SEGNO, di Luisa Mattia e Vittoria Facchini.
Silvia, divoratrice di storie, sapeva che ognuno aveva qualcosa da raccontare; sperava che giovani, vecchi e bambine passassero sulla sua via per raccontarle un nuovo aneddoto, un'avventura speciale. Un giorno però si rese conto che le storie erano troppe da ricordare e cominciò a collezionare i fili persi della sarta del paese, per pescare nuove storie con l'ausilio di questa rete. I fili si intrecciavano e si intrecciavano le storie, ma lei sapeva che, leggendo i racconti a bambine e bambini, ognuno di quei piccoli fili avrebbe richiamato alla sua memoria qualcosa...

 
EDIZIONE: Donzelli, 2012.

Allora il filo diventa simbolo di qualcosa, come FILO, protagonista del libro di Fabio De Poli e Andrea Rauch: egli è simbolo di un bambino spaurito, che ha paura del diverso, che teme l'ignoto; soprattutto, come un bambino, cerca la sua identità: è il cordone di un aquilone, è un filo di nuvole bianche, è un filo di tè che esce dalla teiera... Ma è sempre Filo.

EDIZIONE: La Biblioteca Junior, 2008.

A volte il filo decide di essere semplicemente un filo, un filo da non perdere. NON PERDERE IL FILO, di William Wondriska è la storia di un filo leggero e sottile, che circonda, lega, allaccia, costringe, annodata i protagonisti della storia. Perchè? Beh, questo lo scoprirete solo in fondo al libro ;)



EDIZIONE: Corraini, 2010.

"Dappertutto ci sono fili.
I fili sono diversi, come sono diverse le persone.
Possono essere sottili e forti, leggeri e robusti.
Certi fili si chiamano legami.
Sono invisibili ma molto tenaci.
Le strade sono fili che uniscono le persone.
Ci sono fili che è bello seguire
per scoprire che cosa c'è in fondo...”


FILI, di Beatrice Masini e illustrato da Mara Cerri è un libro soffice e ovattato. I fili passano di mano in mano, legando una bambina distratta a un bambino impaziente e il bambino impaziente all'uomo dei braccialetti e l'uomo dei braccialetti a un povero venditore di braccialetti. I fili vengono abbandonati e poi raccolti, smarriti e ritrovati, intrecciati e sbrogliati. La forte magia di legami nascosti tra protagonisti inconsapevoli che senza saperlo lasciano qualcosa l'uno all'altro.


EDIZIONE: Arka, 2004.

Lo stesso succede per il piccolo protagonista di C'E' UN FILO, di Manuela Monari e Brunella Baldi, che pian piano, esperienza dopo esperienza, osservazione dopo osservazione, assume consapevolezza della presenza di un filo che lega tutte le cose “unisce me alla mamma, me e la mamma al papà. Noi alla nostra casa, la casa alle altre case”. A sua detta è “una specie di ago trasparente che cuce insieme tutto”, ma qual è il suo nome? Per la mamma sia chiama Amore, per il papà RAGIONE, per la maestra VERITA': non possiamo saperlo, sappiamo solo che “se mi perdo mi riattacco al filo e, op, mi ritrovo. È che tutto è come deve essere”.



EDIZIONI: San Paolo, 2010.

Un altro libro che narra di passaggi e di scambi, con la delicata purezza di un bambino è IL FILO ROSSO, raccontato da Anne-Gaëlle Balpe e illustrato da Eve Tharlet.
Felicino conserva un filo rosso che si è staccato dalla testa di una bambola: per lui è come se fosse un grande tesoro. Nel suo cammino, però, gli viene chiesto di separarsene e di concederlo a un piccolo uccellino che lo utilizzerà per il suo nido. Una piccola grande prova per diventare adulti e per capire l'importanza della generosità e dell'aiuto. Il buon cuore di Felicino verrà ricompensato con altri doni, finchè il filo rosso tornerà da lui.

è molto più di quello che pensi! […] Questo filo ha reso felice un uccellino, ha permesso a una formica di tornare a casa e, tra poco, sazierà dei cuccioli affamati...”.




Ecco qui uno dei miei libri preferiti, l'unico, forse, in cui il protagonista è un filo, pur senza essere nominato. IO ASPETTO, di Serge Bloch e Davide Calì, è la storia della vita. Sì, della vita: non di una vita. Perchè narra i grandi momenti, tristi e felici, attraverso cui tutti noi passiamo e che in un certo senso ci uniscono. Un nuovo nato in famiglia, le feste di compleanno, i regali sotto gli alberi a Natale: le cose che tutti aspettiamo con trepidazione e che, nel bene e nel male, ci fanno sentire vivi.


Se si costruisse la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa” - Jules Renard.


EDIZIONE: Kite, 2015.

Ma a volte sono i libri più semplici che riservano una sorpresa...
Tra i Prelibri di Munari spunta qualcosa...


Spunta qualcosa proprio dal numero 1...

EDIZIONE: Corraini, 2016.

La storia di fili continua...

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giovedì 1 settembre 2016

VORREMMO INCONTRARTI :)

(WOULD MEET YOU)


The project IncontrArti is an educational project about interculturality. Its aim is to favour integration among children coming from different cultures, through art potentialities.


Our aim is to stimulate children to seek channels of communication and confrontation different from verbal language, in order to go beyond the linguistic boundaries and to find an universal language. For this reason we believe in the great value of images and of visual language which, even if influenced by a particular culture, are naturally free from every system of symbols or alphabets elaborated by human beings. It is possible to communicate by images, but even by gestures, by movements, by sounds and silences. Isn’t that what we call multimedia?

Le forchette di Munari.
Bruno Munari, 1991.
This alternative communication is combined with a deep rediscovery of our way to perceive reality, based not only on the primacy of sight but also on the use of hands, ears, nose, mouth and above all, the heart. We love and encourage the so called synaesthesia, i.e. the union of perceptions, emotions, and information coming from different senses which increase our knowledge of the world and our aliveness.
We try to focus on what is already part of ourselves: creativity, that many deny to possess, is actually an innate mental faculty that helps us to organize information.
With our proposals we want to remove some dust from those rusty mechanisms and give them a new life, in order to learn how to see the reality from a new point of view, like when we were children, to interpret and to assign meaning beyond preconceived knowledge, to think in a lateral and divergent way. If we think laterally, we will notice that there are new, original and more efficient ways to face everyday problems.
Then, the different will not be seen with distrust and prejudice, but as an holder of huge and unlimited experiences, knowledge, stimuli and curiosities.

Bull's Head.
Picasso, 1942.
FOR WHO

For now, we address children of all ages, from 3 years old to 10 years old, elaborating different paths depending on age range.
Potentially, the project could be extended and everyone could be involved!

WHAT

We propose activities that will stimulate reflections about cross-cultural themes - e.g. identity, places, emotion’s colors, handcraft objects - through the presentation of relating materials of different nature: books, comic books, leporellos, maps, images, painting, artworks, music, cinema, photos. This is due to our will to favour a multi-medial approach.
We settle an artistic laboratory for each meeting, where children can mould and give colors and expression to their impressions and elaborate effectively their ideas.


Children at work in Tirano, Public Library
"Paolo e Paola Maria Arcari".

HOW

We strongly believe in the value of rules because, as Bruno Munari said:

«Rule alone is monotonous. The combination between rule and chance is life, 
art, fantasy, equilibrium».

Therefore, each activity is accurately organized, both in the directives, in materials and practical support, but every child can express themselves freely. There are no models to be copied nor example of perfection to be followed: rule is necessary only to provide directions to be followed in order to optimize results, because “projecting is easy when you know how to do that”.
Only through direct and active experimentation children can become actual protagonists of their learning process. “I hear and I forget. I see and I remember. I do and I understand”, Confucius said. But this making-process has to completely useless and free from every utilitarian ambition typical of Western society. For us  it is important that the child takes posses of this learning process in order to apply it in other different situations: their inheritance will be not a product, but a behave.


WHERE

Potentially, everywhere: in a classroom, in the hall of a museum or a library, in a field or in a backyard.
The important thing is that there must be a great open space where it will be possible to sit all together,  sharing, listening to other people and paying attention to our interiority.
For the laboratorial activity it is important that all the materials are tidy, in order to put the children in the condition to choose with awareness what they desire and to distinguish the specificity of every support.
But don’t worry: we will help you sort out your mess!

WHY

We already presented some aims of our project, but in particular we want to increase, enhance and valorize knowledge: our project has an intercultural target and we believe in the equality and in the richness of every culture. We fight against prejudices and narrow mindset with the proposal to draw knowledge, curiosities, beliefs and tales from every culture and to share them. Only experimenting actively the diversity we can become aware of the big source it represents and employ it in everyday life.
Respect, listening, sharing are the key principles.


 BENEFITS
  • To promote peer to peer collaboration and joint commitment.
  • To share experience, knowledge, back-ground.
  • To experiment varieties of different materials and supports.
  • To sensitize to a multimedia and synaesthetic approach to the reality.
  • To provide stimuli, proposals and new cognizances.
  • To stimulate a different, divergent and lateral way to look at the reality.
  • To valorize everyone’s creative and artistic potential.

INSPIRATIONAL FIGURE

The inspirational figure of this project is Bruno Munari, architect, designer, graphic, writer but most of all polyhedral artist and pedagogue by chance. He was the first who strongly believed in the educative value of art and who projected the laboratories from which we take inspiration.

Bruno Munari, 1907-1998.
But if it is true that “everyone knows a different Bruno Munari”, we especially know the Munari of unlimited and free experimentation and of the variations. For him, the “sincere research of variations” was one of the several faces of creativity which consists on systematically changing the features that normally define an object and on proposing a new version of it, different but still recognizable. Like human faces, all different but still faces of human beings!
To search, create, elaborate varieties, therefore, to make the difference our richness.

Alla Faccia!
Bruno Munari, 1992.

WHAT WE HAVE DONE UNTIL NOW

A first set of laboratories took place in Tirano last spring, at the public library “Paolo e Paola Maria Arcari”. The Participants were 15 children – foreigners and Italians – between 8 and 10 years.

The project has been presented in occasion of the 10th UNESCO Summer School “Childhood and children in Multicultural societies: theory, praxis,research” in Warsaw, at the Accademy of Special Education. Our research is going to be published in the conference proceedings

Morover, IncontrArti has been part of the 15 educative tools presented at the Tool Fair Italia 2016,
an exposition of innovative educative practices in Rome. Valued as one of the best tools, it is in the TOP 5 Tool of the Italian Tool Fair.

In the light of the former goal, IncontrArti will be presented in occasion of the International Tool Fair in Malta, from 7th to 12th of November.

IncontrArti is even registered in the Educational Toolboox of Erasmus+ Educative Portal.
Find it here: IncontrArti

For the future, we are waiting for you and we would like to meet you!

Contact us through our Facebook Page: LoT - Larcenies of Time.

martedì 30 agosto 2016

Vorremmo IncontrArti :)

Il progetto IncontrArti è un progetto educativo di carattere interculturale, che si propone di favorire l’integrazione tra bambini provenienti da culture differenti attraverso le potenzialità dell’arte.


Il nostro obiettivo è quello di stimolare i bambini alla ricerca di canali di comunicazione e confronto alternativi al linguaggio verbale, che superino la barriera linguistica e si propongano come linguaggio universale. Per questo crediamo nel grande valore delle immagini e del linguaggio visuale che, per quanto possano essere culturalmente influenzate, sono naturalmente affrancate da qualsiasi sistema di simboli o lettere elaborati dall’uomo. Si può parlare per immagini, dunque, ma anche per gesti, per movimenti, per melodie, per silenzi. Non è questo ciò che oggi chiamano multimediale?

Supplemento al dizionario italiano.
Bruno Munari, 2008.
A questa comunicazione alternativa si accompagna una profonda riscoperta del nostro percepire, che non si affidi solo al primato della vista ma che impari a “sentire” anche con le mani, con le orecchie, con il naso, con la bocca e soprattutto con il cuore. Amiamo la sinestesia ovvero l’unione di percezioni, emozioni, informazioni che esponenzializza la nostra conoscenza del mondo e il nostro sentirci vivi.
Tutto ciò su cui investiamo fa già parte del bagaglio che ognuno di noi ha fin dalla nascita: la creatività, che molti dicono di non avere, è in realtà una facoltà mentale innata che ci aiuta a organizzare le informazioni. Con le nostre proposte vogliamo togliere un po’ di polvere a quegli ingranaggi arrugginiti e rimetterli in funzione per tornare a vedere la realtà da un nuovo punto di vista, come quando eravamo bambini, a guardare e interpretare le cose oltre le conoscenze precostituite, a pensare in modo alternativo e divergente. Se ragioniamo in modo laterale ci accorgeremo che ci sono modi nuovi, sorprendenti e incredibilmente più efficienti per risolvere i problemi di ogni giorno.

E allora anche il diverso non verrà più visto con diffidenza e preconcetto, ma come immenso portatore di esperienze e conoscenze, di stimoli e di curiosità.

Pennellessa.
Pennello con treccine.
Bruno Munari, 1970.

PER CHI

Per ora, ci rivolgiamo a bambini di tutte le età, elaborando percorsi mirati e differenziati per le diverse fasce: dai bambini di 3 anni a quelli di 10 anni.
Potenzialmente, però, il progetto potrebbe evolvere e proporsi a tutti, ma proprio a tutti!

COSA

Proponiamo attività di riflessione guidata su temi trasversali a quello dell’intercultura - tra i tanti, l’identità, i luoghi, i colori delle emozioni, gli oggetti artigiani – attraverso la presentazione di materiali attinenti di diversa natura, proprio per incoraggiare un approccio multimediale: libri, albi illustrati, graphic novels, leporelli, illustrazioni, immagini, mappe, fotografie, musica, cinema.

Predisponiamo per ogni incontro un’attività di laboratorio sul tema, in cui i bambini possano dare forma e colore alle loro impressioni e trovare adeguata rielaborazione delle loro riflessioni.

Attività di riflessione guidata durante il progetto IncontrArti,
Biblioteca civica "Paolo e Paola Maria Arcari", Tirano
COME

Crediamo nel forte valore della regola perché, come diceva Bruno Munari:

«La regola, da sola è monotona, il caso da solo rende inquieti. Gli orientali dicono: la perfezione è bella ma è stupida, bisogna conoscerla ma romperla. La combinazione tra regola e caso è la vita, è l’arte, è la fantasia, è l’equilibrio».

Ogni attività è quindi precisamente strutturata nelle consegne, nei supporti e nei materiali, ma all’interno delle indicazioni date ogni bambino può muoversi liberamente, cercando i mezzi e le vie migliori per esprimersi. Non ci sono modelli da copiare, né perfezioni da ottenere: la regola serve solo a dare quelle indicazioni che permettano di ottimizzare i risultati perché “progettare è facile quando si sa come si fa”.

Solo attraverso la sperimentazione diretta e attiva ogni bambino può veramente farsi protagonista del suo stesso processo di apprendimento. “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”, diceva Confucio. Ma questo fare in cui il bambino si cimenta pretende di essere assolutamente inutile e sganciato da qualsiasi velleità utilitaristica tipica della società occidentale. Quello che ci interessa è che il bambino incameri un processo, un modo di fare che saprà poi applicare in nuove situazioni: non un prodotto, ma un atteggiamento sarà la sua eredità.

All'interno del laboratorio troverete tanti, tantissimi materiali: molti li avrete visti nelle vostre case, ma probabilmente non avevate mai pensato di usarli per disegnare, colorare, costruire! 
Noi crediamo che gli oggetti di ogni giorno abbiamo molte potenzialità nascoste e tante risorse che potrebbero aumentare la nostra sperimentazione: serve solo avere fiducia nella nostra inventiva.

DOVE

Potenzialmente ovunque: in un’aula, nella sala di un museo o di una biblioteca, in un prato o in un cortile. L’importante è che ci sia un bello spazio aperto per sedersi tutti insieme e per condividere, ascoltare gli altri e ascoltare se stessi.
Per l’attività di laboratorio è importante che tutti i materiali e i supporti siano ben ordinati, in modo che i bambini possano scegliere consapevolmente ciò che desiderano, discriminando le specificità di ogni risorsa. Ma per questo non preoccupatevi: metteremo noi ordine nella vostra confusione!


PERCHÉ

Alcuni ragioni le abbiamo già enunciate sopra, ma il nostro principale intento è esponenzializzare la conoscenza: il nostro è un progetto interculturale che crede nell’uguaglianza e nella ricchezza di ogni cultura. Ci opponiamo ai pregiudizi e alla chiusura mentale per attingere da ogni universo saperi, storie, credenze, curiosità e per condividerli. Solo sperimentando attivamente la diversità possiamo renderci conto in prima persona dell’enorme risorsa che essa costituisce e di come possiamo rielaborarla positivamente nella vita di tutti i giorni.
Rispetto, ascolto, condivisione i principi chiave.




BENEFICI

  •          Valorizzazione della collaborazione tra pari e dell’impegno su un progetto comune.
  •           Condivisione di esperienze, vissuti, conoscenze.
  •           Sperimentazione pratica variegata con materiali e supporti di diversa natura.
  •           Sensibilizzazione a un approccio multimediale e sinestetico alla realtà.
  •           Provvisione di stimoli, proposte, nuove conoscenze.
  •           Stimolazione a uno sguardo diverso, laterale, divergente sulla realtà.
  •           Valorizzazione del potenziale creativo e artistico di ciascuno.

LA FIGURA ISPIRATRICE


La figura ispiratrice di questo progetto è Bruno Munari, designer, grafico, architetto, scrittore ma soprattutto artista poliedrico e pedagogista per caso. Fu proprio lui il primo a credere nel forte valore dell’arte come strumento educativo e a progettare i laboratori cui ci ispiriamo.
Ma se è vero che “ognuno conosce un Munari diverso”, noi conosciamo soprattutto il Munari della sperimentazione illimitata e delle varianti. Per lui la “ricerca sincera delle varianti” è una delle numerose facce della creatività e consiste nel cambiare sistematicamente i caratteri che definiscono normalmente un oggetto per proporlo in una nuova versione, pur senza fargli perdere la sua identità. Un po’ come i volti umani, che sono tutti diversi ma che sono pur sempre le facce degli uomini!
Cercare, creare, elaborare la varietà, quindi creare la differenza e farne risorsa.

Alla faccia!
Bruno Munari, 1992.
COSA ABBIAMO FATTO FINORA

Un primo ciclo di laboratori si è svolto questa primavera presso la biblioteca civica “Paolo e Paola Maria Arcari” di Tirano e ha coinvolto 15 bambini italiani e stranieri tra gli 8 e i 10 anni.

A settembre il progetto è stato presentato in occasione della Summer School UNESCO “Childhood in Multiculturalsocieties: theory, praxis, research”, a Varsavia presso l'Accademia di Educazione Speciale. La nostra ricerca verrà presto pubblicata negli atti del convegno.

IncontrArti è stato parte dei 15 strumenti educativi presentati in occasione della Tool Fair Italia 2016, un'esposizione di nuove buone pratiche educative a Roma. Ritenuto essere uno dei migliori strumenti presentati, è nella TOP 5 della Tool Fair Italiana.

Grazie a questo risultato, IncontrArti prenderà parte alla Tool Fair Internazionale a Malta, tra il 7 e il 12 Novembre 2016.

Trovate IncontrArti anche registrato nel Portale Educativo di Erasmus+.
Lo trovi qui: IncontrArti



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