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sabato 29 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XXXIII: Hashem, la cucina universale

Dopo un mese in Giordania, ho definitivamente deciso che Hashem è il posto più tradizionale in cui si possa mangiare.
Non che serva un mese per accorgersene: appena si scende "in città", ovvero si raggiunge il "balad" -  بلد - ci si scontra fisicamente e acusticamente con la folla di avventori che dal cortile interno straripa sulla strada. 


L'atmosfera è quella di un centro commerciale nel periodo natalizio, con lucine e fronzoli che penzolano da ogni dove e che giacciono indisturbati almeno dal '52, anno di istituzione di questo locale.
Qualcuno lo classifica come un posto da street food, ma credo che nessun locale abbia mai resistito alla tentazione di sedersi, anche solo per un attimo - che poi, qual è la concezione di "un attimo" in Medio oriente? - in questa specie di piazzetta ricavata tra due palazzi. Probabilmente il proprietario non si aspettava tale successo e, negli anni, l'unica soluzione che ha trovato per accogliere le frotte di avventori, è stata quella di "addestrare" i suoi camerieri ad essere velocissimi nel servizio. Ci è riuscito, ma con la sola condizione che essi possano urlare a squarciagola da un lato all'altro della corte, comunicando tra loro ciò che manca in questo o in quel tavolo, cioè che è urgente preparare e soprattutto inframezzando l'atmosfera con cadenzati "shai, shai" - الشاي, perchè il tè non può mancare, mai.
Quando trovi la forza di affrontare il primo muro di persone e trovi posto, sarà tutto più semplice: innanzitutto, perchè non c'è un menù. I camerieri ti portano un po' quello che vogliono loro, in base a quante persone siete. Ovviamente, tutto esclusivamente vegetariano. Se non sei solo o se avranno abbastanza motivi per pensare che il tuo stomaco sia in grado di reggere e di non avanzare cibo, ti porteranno il menù completo ovvero falafel, hummus, mutabbal - la famosa crema di melanzane - e una crema di fave che prende il nome di ful medames - فول مدمس.
Ovviamente, il tutto accompagnato da una buona dose di pane e dall'immancabile "insalata" di contorno, che consta di cipolla cruda, menta e pomodori tagliati malamente. Se sei audace, puoi provare quella specie di salsina piccante che è sempre a disposizione sul tavolo, ma se sarete furbi, capirete che tutti quei semini bianchi saranno indice di una piccantezza inquantificabile.


Sfortunatamente, ero troppo impegnata a mangiare - e a digerire! - per cui le mie foto sono di scarsa qualità, ma vi consiglio di guardare qui se vorrete avere una conferma che da Hashem anche l'occhio ha la sua parte.
La cosa divertente, è che il link cui vi rimando dice esattamente le stesse cose che ho scritto io, motivo per cui ho dedotto che l'esperienza culinaria di Hashem ha dell'universale e, dopo essere stati qui, tutti proveranno le stesse identiche emozioni.
D'altronde, hummus e falafel mettono tutti d'accordo: giordani e palestinesi, locali e stranieri, vegani e onnivori. 
Forse, certe risoluzioni dell'Onu andrebbero discusse qui, in questa atmosfera caotica e drammaticamente soddisfacente. Ne avremmo tutto di guadagnato!



sabato 22 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XXVII: gelato arabo VS gelato italiano

Come al solito, quando manco un post, è perché sto mangiando qualcosa di buono. E anche ieri sera si è trattato di un dolce:, la "Booza" alias "il gelato arabo".
Siccome mi piace infierire sul cibo altrui e siccome il mio patriottismo sta cercando di resistere nonostante le pessime notizie che arrivano dall'Italia, sono stata punita.
Boriosa e supponente, alla proposta di andare a mangiare un gelato arabo, ho subito detto ai miei amici giordano-palestinesi che dovevano stare mooolto attenti perché, insomma, sfidare il gelato italiano non è saggio.
Ingaggiata la sfida, mi ritrovo da Bekdash e capisco subito di aver perso: c'è una fila immensa e solo famiglie locali - chiaro indice che sono stata portata in uno dei posti più buoni di Amman.
Il gelato è inizialmente una sfida: è elastico e resistente, direi "gommoso", niente a che vedere con la soffice consistenza che ci aspettiamo dal gelato italiano.
Rischio - ovviamente - di farlo cadere e di catapultare la vaschetta sul soffitto come nella peggiore Candid Camera.
Ma quando capisco come affrontarlo, sprofondo nella bontà e nella vergogna. Questo dolce è latte e zucchero, corredato da pistacchi - non esistono gusti alternativi. Ma il vero segreto è il mastic, una resina profumatissima importata dalla Siria che, a quanto pare, è abbastanza proibitiva.
Mi arrendo, soprattutto quando mi accorgo di essere stata la prima a finirlo.
Se è vero che gelato italiano e gelato arabo sono due cose diverse, non sono più tanto sicura che il nostro sia imbattibile.
Vi auguro di provarlo se verrete in Medio Oriente ;-) e fatemi sapere cosa ne pensate! 

mercoledì 19 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XXV: il dolce incontro con lo Knafeh

Amiche, amici: ebbene sì.
Mi spiace di avervi delusi o di avervi fatto aspettare invano per il mio post quotidiano, ma ieri sono stata colta da un annichilente blocco scrittorio, che mi ha più volte allontanata dalla volontà di scrivere. Così, mentre cercavo di organizzare i pensieri e non ci riuscivo, nell'opprimenza di una di quelle giornate in cui l'unica vera compagnia è la noia ho trovato un amico sincero: il knafeh.
Insomma, al 25esimo giorno di permanenza in Giordania, è doveroso che io cominci a parlarvi del cibo: non vorrei mai che, tra tutti questi discorsi impegnati, possiate pensare che per me non sia una priorità.
E così, a tributo dei miei lettori donne, comincerò dai dolci che, come il mondo ben sa, sono l'unica vera arma contro l'isteria femminile e gli unici in grado di distoglierci dai peggiori istinti omicidi.
Il knafeh è "mozzarella cheese with sugar up" cit.: una ragazza tedesca che, comprensibilmente, non si intendeva di cibo 😁

erecipe.com
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Ma il formaggio filamentoso c'è e ha proprio quell'aspetto gustoso da cui la maggioranza degli italiani è addicted [dipendente].
Sopra non c'è zucchero, ma pasta Kadaif, che sono degli specie di spaghetti - blasfemia!! - inventati dagli Ottomani, sottili sottili e intrecciati tra loro che vengono utilizzati dopo essere stati ammorbiditi con olio o burro - giusto per stare leggeri.
Qualcuno li chiama "noodles" e sono sicura che nessuno di noi italiani ne avrà a male per questo 1-0 per la Cina. 
Infine, lo Knafeh è guarnito con pistacchi e altra frutta secca locale.
Può avere una colorazione più o meno scura in base alla quantità di sciroppo in cui è imbevuto.
E' così dolce e così dichiaratamente calorico che se penserai di poterne mangiare una porzione più grande di quella che ti servono, verrai punito con un malessere nauseabondo. Infatti, appena ne avrai assaggiato un boccone, non saprai se accettare che questa delizia di zucchero e trigliceridi scivoli giù o se pentirti per essere stato goloso. In effetti, pur nella sua bontà, è talmente pesante che realizzerai subito di averne abbastanza.












A lato del caotico 2° circolo - la città di Amman è divisa in "rotonde", "circoli" o "piazze", in base a come li vogliamo chiamare - c'è Nafeesah, la pasticceria gremita di persone che mi ha regalato questo incontro zuccherino.
Un signore apparentemente vestito in "abiti tradizionali" distribuisce il tipico caffè arabo, pieno di cardamomo.
Quando entri, le vetrine sono pronte a tentarti nell'acquisto, ma non tanto quanto i vassoi pieni di assaggi omaggio che sembrano aspettare solo te.
Ovviamente, non ho saputo resistere e mi sono mangiata 5 o 6 pezzi di una specie di rivisitazione a base pistacchio della pasta di mandorle.
Ai lati dell'esposizione, i pasticceri lavorano senza interruzione, curando con fare meticoloso questi grandi vassoi dove preparano i dolci: l'impasto sembra bollire gioioso nel burro, mentre qualcuno si dedica a "sporzionare" i vassoi già pronti e qualcun altro a girarli a mo' di frittata, per cuocerli su entrambi i lati.


Perdonerete la scarsa qualità, ma spero vi possiate calare un attimo nell'atmosfera per comprendere che, se non ho scritto un post, ieri è stata comunque una giornata ricca di senso 😏