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domenica 25 novembre 2018

SENSI di VIAGGIO XLIX: dell'imprevisto - buono o cattivo - di un viaggio

In questi giorni ho pensato molto al senso dei viaggi e non ho mai trovato una risposta, nonostante abbia fatto di questo proposito il nome della mia rubrica giordana. Sensi di viaggio, appunto.
Anche per questo ho sospeso la scrittura dei post, un po' malinconica, un po' adagiata nello scorrere del tempo, un po' beata nella routine della mia tranquillità giordana.
Quando ho letto di Silvia Romano ho avuto una reazione molto di pancia, un tumulto indescrivibile a metà tra empatia, coraggio e speranza.
Possono esserci milioni di motivi per viaggiare e noi giovani d'oggi, soprattutto se occidentali, abbiamo davvero le ali sotto i piedi: col paradiso del low-cost, con l'inglese come lingua franca, con i nostri passaporti potenti in mano, possiamo scegliere di andare veramente dovunque.
A volte facciamo scelte "main stream", andando in località turistiche "solo" per divertirci, rilassarci, vedere qualcosa di diverso.
A volte facciamo scelte più azzardate, più ricercate, più coraggiose. Decidiamo di uscire davvero, per mesi, dalla nostra comfort zone e immergerci completamente in una realtà altra.
Possono esserci milioni di motivi per viaggiare e ognuno ha dentro di sè il suo groviglio di emozioni, pensieri, frustrazioni, speranze per partire. C'è chi parte per studio, chi per lavoro. C'è chi parte per avventura, chi per fuga, chi per amore. C'è chi parte per un ideale, chi per un suo bisogno di cercare altrove qualcosa che non ha ancora trovato, chi per darsi la possibilità di stupirsi ancora. 
Ed è vero, nessuno ci obbliga a partire - sì, grazie, lo so, potevo stare a casa mia.
E allora ognuno parte, con i suoi sensi di viaggio, sicuro e determinato nelle sue ragioni. Poi approda in un'altra realtà e se è fortunato come lo sono stata io, dimentica tutto: dimentica aspettative, stereotipi, speranze, preoccupazioni e si lascia trascinare. Dimentica pure i sensi del suo viaggio, i sensi della sua partenza. Si lascia trascinare dalla magia del luogo, dai suoi abitanti, dai suoni, a volte troppo rumorosi per la nostra organizzata efficienza europea. Si lascia trascinare dal colore e dal calore delle persone, dall'energia che ti ricarica, dalle emozioni, dalle novità, dallo stupore. E ogni giorno, ogni incontro, ogni novità aggiunge un po' di "senso" a quel viaggio. Un senso insperato, imprevisto, incalcolato. Un senso che scardina tutte le nostre previsioni, tutte le nostre sicurezze, tutte le barriere mentali che ci facevano vedere solo un certo raggio di mondo, solo una fetta di possibilità.
E allora nel viaggiare c'è anche l'imprevisto e l'imprevedibile: c'è anche la possibilità che ti succeda qualcosa di brutto. E la colpa non sarà tua, che sei stata impavida, ingenua, naive. Non sarà tua che hai lasciato la sicurezza della tua casa, l'efficienza della tua nazione, la protezione della tua gendarmeria.
La colpa non è tua, che non hai saputo accontentarti di quello che avevi, che sei andata a cercare te stessa lontano. Non è tua, che ti sei messa in gioco, hai rischiato, hai amato l'imprevisto e l'incertezza.
Silvia Romano non ha nessuna colpa, è stata solo sfortunata. Tutti noi, tutti i giorni, a casa e in viaggio, attraversiamo decine di situazioni di potenziale pericolo. Situazioni in cui basterebbe fare un passo in più, dire una parola di troppo, arrivare in orario, in ritardo, in compagnia o da soli per incontrare qualche pericolo. E non importa quanto sei prudente, quanto sei misurata, quanto precisamente hai calcolato l'imprevisto. Se ti deve succedere, succederà.
Io credo nel destino, credo nella magia - bianca o nera - delle insperate possibilità.
E sono sicura che anche Silvia Romano starà pensando che, malgrado tutto, ne sarà valsa la pena.
Di partire, incontrare, gioire, sperare, rischiare.
Rischiare.
Sono sicura che, più o meno orgogliosamente, sarà fiera della sua scelta e non avrà nulla di cui pentirsi e nulla da rimpiangere. E chissà, forse anche questo rapimento farà parte di tutto quel tumulto di emozioni e di esperienze che si sono costruite piano piano, nel suo personale e ricchissimo "senso di viaggio".



martedì 6 novembre 2018

SENSI di VIAGGIO XLVII: Petra, dall'alba al tramonto

All'alba, dopo forse 4 ore di sonno, siamo di nuovo a Petra. Pochi turisti ciondolando nel siq per raggiungere il tesoro. L'aria fresca del mattino è un pizzicotto sulla pelle, il vento fruscia leggero tra i capelli, unico rumore in quella città ancora incantata. Tra poche ore, migliaia di turisti si riverseranno qui con tutto il loro cicaleccio: ci godiamo quella calma preziosa, soddisfatti per aver accettato il trauma della sveglia.


Sono ancora incredula per la serata precedente, ma in cuor mio so che questo posto ci stupirà anche oggi.
Dovremmo incontrarci con Firas al tesoro, poi proseguiremo per il monastero che sta su un'altura a qualche chilometro di distanza. Mentre lo aspettiamo, un altro beduino ci si avvicina: quando gli diciamo che aspettiamo Firas esclama con sicurezza "è mio cugino, venite, andiamogli incontro".
Prendiamo Bounty, che era stato "preso in prestito" da questo cugino per la notte e ci avviamo verso sud. Firas ci viene incontro sorridente con due cammelli: li fa "sedere", in modo che possiamo salire sul loro dorso. Il cammello ha le gambe così lunghe e così sottili che per inginocchiarsi si lascia cadere sulle ginocchia improvvisamente. Lo stesso quando si rialza, con uno scatto improvviso prima in avanti e poi indietro, nell'alternanza delle sue zampe.


Trotterelliamo con un po' di sana spocchia su quell'animale così esotico e così mitico. Siamo in alto, mentre Firas li conduce con passo svelto camminando.
Percorriamo la via di Petra, il teatro romano a destra, le tombe reali sulla sinistra. Raggiungiamo il grande tempio e le altre rovine romane che giacciono in secoli di storia.


 É ora di cambiare animale, dobbiamo inerpicarci dentro un Wadi - valle - e il cammello non è abbastanza agile. Monica e Bounty, i due muli, sono abituati a portare fino a 400 chili, ma quando vedo quanto è irto, roccioso e pendente il sentiero mi sento male per loro. In più, io e Firas condividiamo il povero Bounty, che si trova così con almeno 150 chili sulle "spalle".
Sinceramente ho paura che il mulo scivoli - in alcuni parti il sentiero è esposto su un precipizio - ma Firas ride e mi rassicura dicendo che i muli sono gli animali più forti di sempre e che non sarò certo io dall'Italia a sfatare il mito.




Mentre saliamo a strattoni e mi reggo alle redini, mi guardo intorno e cerco di fare alcune foto. Siamo tra due muri di roccia, ogni tanto ci sono delle caverne. La gente ci fa capolino, dato che vive qua: è così magico percorrere quel sentiero e vedere le persone che si svegliano e cominciano le loro attività della giornata. Incontriamo soprattutto donne, pronte a sistemare la casa, adempiere alla faccende domestiche e preparare le bancarelle con la merce che cercheranno di vendere ai turisti. Saliamo, saliamo sempre di più: i gradini di roccia sembrano scivolosi e lisi dal passaggio quotidiano di così tante persone, ma i muli procedono sicuri. Non c'è ancora nessun turista qui, davvero possiamo dire di essere i primi della giornata.
Firas non ci dice niente, ma a un certo punto appare sulla sinistra il Monastero: è tanto bello quando il Tesoro, ma ha il fascino delle cose nascoste, segrete. Se ne sta lì, con una specie di piazza davanti, a dominare il Wadi, bastione incontestabile della bellezza di Petra.



Il sole comincia ad essere caldo. C'è una specie di ristorante, ci sediamo, prepariamo la shisha e facciamo colazione con un sandwich di falafel. La bandiera giordana sventola sicura nel vento e la foto del re sta appesa in una grotta: sorride e stupidamente mi viene da sorridergli di riflesso, beata in quel posto solitario e prezioso.


Ci prendiamo un po' di tempo per riposare, nessuno di noi vuole scendere da lì.
Quando decidiamo che è ora di andare, risaliamo in sella a Bounty e Monica: la discesa potrebbe sembrare più spaventosa, ma in realtà mi sono abituata a questa andatura apparentemente precaria.
I turisti cominciano a risalire il sentiero, stanchi. Sono pigramente grata a Firas per averci portati lì col mulo.
Visiteremo il tempio romano, la chiesa bizantina, il teatro romano; mi farò mettere il Kajal direttamente dai beduini, fumeremo un po' di shisha all'ombra di una tenda, guardando i turisti che cominciano ad ingorgare il sito. 



Non vogliamo salutarci, nemmeno se il Wadi Rum ci aspetta, nemmeno se Firas ci invita a tornare tutte le volte che vogliamo. C'è un vento feroce, che alza la sabbia e la getta negli occhi. Trotterelliamo sul mulo verso l'uscita attraverso una via secondaria e rialzata. Ammiro per l'ultima volta la bellezza di Petra coprendomi il viso con la Kefia. Firas mi chiede se va tutto bene: anche se sorrido, sono molto triste di lasciare quel posto. 
Le ultime 20 ore sono state le più assurde, intense, vivaci di tutta la mia permanenza di Giordania.


giovedì 1 novembre 2018

SENSI DI VIAGGIO XLVI: una sera a Petra

Firas arriva a dorso di mulo, scuotendo il suo smartphone e sorridendomi. "Conosci questa ragazza?", mi chiede mostrando una mia foto.


Il nostro amico comune, che sta ad Amman, mi ha messo sotto la sua protezione. Mi abbraccia come se ci conoscessimo da sempre e mi dice che sono la benvenuta. 
Da quel momento la nostra visita a Petra di trasforma da super turistica a un'avventura in pieno stile beduino.
Mi porta sotto le tombe reali, dove c'è la tenda di sua cugina, una donna bellissima che vende artigianato.
Prepara la shisha e il tè, ci sediamo sulle rocce e guardiamo le frotte di turisti assolati da quel punto panoramico.
Mi sento subito a casa in compagnia di quella nuova famiglia beduina che sembra così onorata di conoscermi. In nessun posto, come in Giordania, mi sono resa conto di quanto siano preziosi i legami amicali, le connessioni, le conoscenze. Essere amica di amici è un lasciapassare incredibile. Ieri, mi ha permesso di vivere un'esperienza incredibile che probabilmente non è per tutti i turisti ;-)


Quando Firas valuta che si sia fumato abbastanza, prendiamo Monica e Bounty, i suoi due muli. Siamo diretti al punto panoramico che dà sul famigerato tesoro di Petra. Da lì, potremmo ammirare lo spettacolo di Petra by night, ma soprattutto i milioni di stelle, la brezza del deserto e una quiete irraggiungibile.
Il sole è già calato, subito è buio. Trotterello nel siq a dorso di Bounty, la stretta via tra le rocce spaccate dal vento sembra chiederci di assorbire quel poco di luce rossastra che rimane.
Poi ci arrampichiamo per una via impervia, i pochi turisti rimasti ci guardano stupiti, qualche beduino parla in arabo con Firas: capisco solo che lui garantisce per noi.
É buio, le luci dei cellulari a illuminare quelle rocce scivolose da scalare per raggiungere la cima. Firas sembra poter arrampicare a occhi chiusi, ma è premuroso e mentre regge la pila con una mano, con l'altra ci aiuta nei passaggi difficili.
Nel frattempo, raccoglie la legna per il fuoco.



Quando raggiungiamo il suo posto segreto, non abbiamo parole. Il tesoro si staglia lì sotto, pacifico ma determinato nel suo carico di storia. Sembra che riposi, dopo i 4000 turisti in media per giornata, tutti lì per contemplarlo.
Siamo su delle rocce altissime che si stagliano per chilometri, è impossibile vederne la fine. L'aria è fresca, Faris mi prende per mano e mi porta al limite del precipizio: "do you wanna fly? Jump. But I respect culture, women first" (vuoi volare? salta. Ma io rispetto le tradizioni: prima le donne). Scherza.
Ci sediamo su una roccia, 300 metri sotto i nostri piedi qualcuno comincia ad accendere le candele per lo spettacolo serale. Siamo avvolti in una "farua" - la tipica giacca beduina - e l'aria fresca ci sferza il viso. "Jack Sparrow" mi dice, e mi mette in testa la sua kefia, annodandola al modo beduino e allacciandomi gli estremi davanti alla faccia.
Così, con solo gli occhi a poter contemplare quella meraviglia del creato, li alziamo al cielo. Ci sono milioni di stelle, qualcuna cade sotto i nostri occhi, forse a lanciarci un messaggi.
Mi chiedo quanti desideri possano esprimere i beduini ogni giorno e Firas mi risponde "beduin never gives up" (il beduino non si arrende).
Ci sdraiamo così, su quella roccia levigata, lasciando i piedi penzoloni nel vuoto. 
Non ho idea di quanto tempo sia passato, in quella quiete infinita che ti parla, che ti sussurra nelle orecchie con il vento e che ti punzecchia la pelle con il frescore della notte, ma sei lì e guardi le stelle a cercare qualcuno o qualcosa che non sai.




La cena è quasi pronta, gli amici beduini di Firas ci chiamano: hanno fatto un fuoco e cotto polpette e patate in un cartoccio di stagnola. Fumano la shisha mentre ultimando la cottura. Poi tutti intorno a mangiare dallo stesso piatto pescando quelle polpette speziate con il pane.
É tempo di ballare, i 4 Jack Sparrow si alzano in piedi e iniziano a ciondolare. É il loro modo di ballare la Dabka, la danza tradizionale Giordana. I loro capelli lunghi si muovono sotto le kefie, gli occhi luccicano nell'assenza di luce e il kayal dei loro occhi sembra ancora più forte.
Balliamo, e mi insegnano quei passi cadenzati e pesanti, come a muoversi in una danza senza tempo. Si balla intorno al fuoco fino a quando dal tesoro di Petra cominciano a salire i flauti dello spettacolo serale. Ricomponiamo la quiete, ascoltiamo il liuto che vibra fin lassù.
























Mi sento così, forse felice, forse estasiata, forse non c'è il nome per questa emozione. Sicuramente, avvolta nella mia farua, mi godo quel torpore mentre il cielo mi schiaccia negli occhi milioni di stelle.
Come siamo scesi da lì, come siamo tornati all'uscita, e soprattutto le avventure mattutine di oggi, sono definitivamente un'altra (bellissima) storia.
Ma quella di ieri è stata così speciale, così emozionante, che ancora ho nel cuore un guizzo che sta per scomparire, ma che cerco di trattenere.
A domani, dunque, per il resto del viaggio.

mercoledì 24 ottobre 2018

SENSI di VIAGGIO XLIV: la Terra Promessa

Possiamo anche professarci atei, ma quando siamo in Medio Oriente è impossibile non subire il fascino del religioso che pervade ogni luogo. Sin dalle mie prime visite "turistiche" in questa nazione, ho realizzato quanta storia sia stata tracciata su questa terra: ma mi sono sentita veramente coinvolta quando ho iniziato a sentir parlare dei Romani e, soprattutto, di storie Cristiane. 
Così, tutte le ore di catechismo e di religione sono tornate alla mia mente e ho cominciato a ricostruire i tasselli di quelle storie bibliche. Mosè, Giovanni Battista e tutti gli altri personaggi che abbiamo sentito citare almeno una volta nella Bibbia mi sono sembrati subito più reali, più veri, più storici, realizzando che - secondo la tradizione! - avrebbero compiuto le loro gesta proprio qua.



Dopo la visita a Madaba abbiamo deciso di portarci fuori città, verso il Monte Nebo: avevamo bisogno di un po' di natura, di un po' di pace dalla città.



Soprattutto, eravamo tutte desiderose di vedere una vista mirabile ma, forse come punizione per una fede troppo labile, il sole era così forte e l'aria così carica di sabbia del deserto, che la Terra promessa abbiamo solo potuto immaginarla.
Mentre ci avviciniamo al monte, la pianura lascia spazio alle colline, la strada le avvolge e dalla carreggiata su cui ci troviamo cominciamo ad ammirare la vallata sottostante e quei cumuli di sabbia che scendono sempre più in basso, sempre più verso il fondo. L'altitudine comincia a calare finchè raggiungerà la depressione del Mar Morto. 
Paghiamo il biglietto ed entriamo al memoriale: anche qui, frotte di turisti. Una chiesa poggia sulla cima del colle, un vialetto alberato vi ci conduce. Ma nessuno vuole restare chiuso tra quelle file di alberi, pur tanto rigogliosi in una terra così arida: i turisti si abbarbicano sui lati del colle, a cercare la vista. 
Raggiungiamo il belvedere: da qui, l'allora 120enne Mosè, ammirò la Terra promessa dopo l'Esodo, senza poterla raggiungere:

"tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati" [Deuteronomio]


Immaginiamo la Palestina, la Terra Santa, Israele al di là di quella cortina di polvere. Il monumento a Mosè che solleva il serpente dal deserto sembra fare da monito, controllando dall'alto quelle terre che oggi si contendono uno spazio troppo stretto e tanto carico di religioni. Mi piace pensare che voglia mandare un messaggio di speranza, tolleranza, condivisione a quella terra così dilaniata da un conflitto che dura da settant'anni.


Ma il sole comincia a calare e a cadere giù. E' ora di tornare ad Amman.









martedì 23 ottobre 2018

SENSI di VIAGGI XLIII: Madaba e i mosaici bizantini

Vaghiamo per Madaba senza pretese, in un venerdì tranquillo e assolato di inizio autunno. La città è deserta, come solo può essere di venerdì in un paese del Medio Oriente. La gente ancora dorme oppure si aggira rilassata per la città. Non c'è traffico, solo frotte di turisti come noi che vogliono sfruttare il weekend.


Siamo qui per vedere i famosi mosaici bizantini e le chiese della città: un terzo della popolazione è cristiana e i due edifici più importanti sono la Chiesa di San Giorgio e il Santuario della Decapitazione di Giovanni Battista. Sono edifici abbastanza nuovi, il primo ortodosso, il secondo cattolico, costruiti tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo.
Ci stupiamo di vedere così tanti pellegrini, così tanti preti e suore. In un certo senso, ci sentiamo un po' a casa, in questa cittadina a mezz'ora dalla capitale che sembra la riduzione in scala di uno dei nostri centri storici.
Da qui sono passati in molti: una delle 12 tribù di Israele, gli Ammoniti, i Nabatei, i Romani e i Bizantini. Abbandonata per più di 1000 anni dopo un violento terremoto, si è ripopolata poco più di cento anni fa grazie a una comunità di duemila cristiani fuggiti da Karak dopo uno scontro coi musulmani locali.
Nella chiesa di San Giorgio c'è uno dei mosaici più importanti del mondo: la più antica cartina della Palestina - e della Terra Santa - scoperta un po' per caso mentre si scavava tra i resti di una chiesa bizantina per erigere l'attuale chiesa cristiana. Entriamo con religioso silenzio, la chiesa è modesta: cerchiamo il famoso mosaico fino a trovarlo sotto i nostri piedi. E' rimasto ben poco, ma si intuisce la magnificenza di quell'opera originariamente lunga circa 20 metri e composta da 2 milioni di tessere.
Tutta la geografia del Medio Oriente è sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi: le didascalie sono in greco, ma la riproduzione all'ingresso ci ha permesso di orientarci e riconosciamo le città principali: prima fra tutte, Gerusalemme.


 
Proseguiamo un po' a zonzo, tra i negozietti colorati della via principale: i venditori ci guardano, desiderosi di una nostra visita nelle loro botteghe. Scopriremo che sono gli unici personaggi attivi della giornata, considerando che vagheremo per più di un'ora prima di trovare un posto aperto dove mangiare. 
Arriviamo a uno dei due parchi archeologici della città: ci sono un uomo e un bambino ad aspettarci. 


Ci chiedono se abbiamo il Jordan Pass, senza intenzioni di controllarlo. Il bambino prende l'iniziativa e ci porta a fare il tour guidato dell'area, mentre quello che presumiamo essere il padre, giace inerte sulla sedia. E' un parco veramente piccolo, ma ci sono dei mosaici bellissimi su quello che doveva essere il pavimento di una chiesa. Il bambino ha 12 anni, (non) sa una parola di inglese: "come" - "venite". Va velocissimo, ma si ferma a ogni cartello esplicativo per farcelo leggere, certo del nostro interesse. 



Appena togliamo gli occhi dal pannello, inizia a indicare qualche animale tra i mosaici e dice il nome in arabo. Vuole fare una foto, orgoglioso delle sue competenze turistiche; soprattutto, ambisce a quei due dinari che ci ha fatto risparmiare per non averci stampato il biglietto.


Ma il vero gioiello della città è il Santuario di cui sopra - in cui troviamo il Gesù più biondo di tutti i tempi.



Saliamo sul campanile, 100 gradini tra le corde delle campane che oscillano al nostro passaggio. La vista è magnifica, da lì: si vedono i confini della città, l'estendersi infinito del deserto. Non smetterò mai di meravigliarmi di questa assenza di limiti, di spazi incalcolabili, di questa assenza di barriere naturali. Forse, dell'assenza delle Alpi, che anche qui viziano la mia percezione dello spazio.




Respiro a pieni polmoni, l'aria del deserto e il calore di un ottobre ancora gentile. Il muezzin canta il richiamo alla preghiera dalla moschea principale della città. Questo mix di religioni ci stupisce e ci rilassa. Forse, siamo contagiate dalla spiritualità del luogo.
E' così che decidiamo di proseguire e di portarci fuori città, per vedere la Terra Promessa: prendiamo un Taxi per il Monte Nebo, nel nostro risoluto tributo a Mosè.
Ma questa, è la storia di domani ;-)

venerdì 28 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XXXII: pic-nic nella foresta

Let's go to the forest!
Il weekend inizia così, con l'estemporanea decisione di fare un'escursione nella foresta di Jerash. 
Il mio scetticismo è solido, perché ho parlato con tre o quattro Giordani e tutti hanno risposto "abbiamo foreste, qua in Giordania?".
Mhm, molto bene: se non lo sapete voi...
Tuttavia, la Lonely planet dice che le foreste "si sono ridotte all'1% del territorio Giordano": questo può bastare a nutrire la speranza che ci stiamo dirigendo proprio verso quell'1%.
4 straniere e un giordano: si sale in macchina e si parte, finestrini abbassati, capelli al vento, autoradio al massimo e playlist internazionale da cantare a squarciagola.
I miei compagni di avventura mi chiedono se posso cantare "Bella Ciao" e quel momento poteva bastare per legittimare una frase che piace tanto agli inglesi: "I have made my day" ❤️
Ma il viaggio continua, mentre veniamo viziate da alcuni pit stop: pane appena sfornato e shinina - شنينة, una specie di yogurt bianco molto liquido e freschissimo.
Arriviamo alla Riserva Forestale di Dibeen, ci facciamo ingolosire dall'ombra e ci inoltriamo tra gli alberi: ebbene sì, alberi, mentre io pensavo che avrei trovato solo arbusti e qualche pianta rinsecchita. In realtà la foresta è pure abbastanza fitta, con una serie di specie botaniche diverse - apparentemente qua dovrebbero essere tutelati anche querce e pini di Aleppo.



Qualche lucertola scappa al suono scricchiolante dei nostri piedi sul terreno: il suolo è molto secco e pieno di pigne...
Arriviamo allo scavalcare del colle, la vista su Jerash è infinita: siamo arrivati nel momento giusto, è l'ora della ṣalāt al-ẓuhr, la preghiera di Mezzogiorno.
Il minareto della città non è molto lontano, ci sembra di poterlo toccare da quell'altura sovrastante in cui ci troviamo. Il muezzin canta e noi ci fermiamo a riposare.


Nel frattempo, la riserva comincia a riempirsi di famiglie e gruppi di amici venuti qui per un tè, un po' d'ombra e una sana tregua della città. Qualcuno anche per il pic-nic, che comincia a palesarsi come la nostra prossima priorità.
Cerchiamo una radura all'ombra e proprio come nei film, raccogliamo i "legnetti" per accendere il fuoco. Mentre ancora raccogliamo e depositiamo la legna vicino al fuoco, il nostro amico giordano è già riuscito a far divampare le fiamme, il che rende il nostro focolare molto stupido. "Nessuna persona intelligente metterebbe la legna di riserva vicino al fuoco", dice.



Il nostro pollo con peperoni e una dose imprecisata di spezie ha del meraviglioso: mi chiedo come possa apparire e (confermerò) essere così delizioso, seppur preparato con pochi ingredienti e con nessun attrezzo.
La pentola in mezzo, nessuna posata, solo il pane a fare "scarpetta" - il che in medio Oriente è ordinario e indispensabile.
Nel frattempo, il sole batte sulle nostre teste, il tempo sembra immobile e tutti e cinque vorremmo che esso si fermasse proprio in questo momento.

domenica 23 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XXVIII: di pleniluni stupendi



Per una serie di strane dinamiche pseudo-lavorative, mi sto trasformando in un animale notturno, cosa assai inconsueta e insperata per la mia persona - ricordo ancora che in Erasmus mi addormentai sulla poltroncina di una discoteca alle 10 di sera.
Questa inesplorata attitudine mi ha permesso, in questo primo mese di permanenza in Giordania, di vedere la luna crescere e di assistere al costruirsi del plenilunio.
A casa, non ci faccio molto caso: forse, non ci faccio caso per nulla, se non in qualche solitaria sera d'estate in cui il cielo è terso e sembra trascinare i miei occhi verso l'alto con una forza calamitica.
Qua, invece, foss'anche solo per l'assenza delle montagne e per la sconfinata distesa di colline, non puoi non accorgerti di quell'ospite inconsueto che sta sempre lì, come ad osservarti. 
E mentre ti osserva, credo che la luna sia capace di infonderti una certa tranquillità, un misto di pace e di misticismo che ti obbliga a riflettere e a ripensare alle tappe della tua giornata: come un giudice calmo e paziente che rinnova la sua presenza ogni sera.
E' venerdì sera e la notte è giovane come solo può esserlo in un weekend che è al suo inizio. Usciamo fuori città, le strade sono finalmente libere dagli ingorghi della "movida" del centro. L'aria è fresca e frizzante, ti pizzica la faccia ricordandoti che sei in pieno deserto e che il caldo diurno non è certo garanzia di una notte mite.
Mentre la macchina macina chilometri, comincio a pensare che tra un po' saremo al confine della nazione: e invece no, siamo solo al limitare del governatorato di Amman, alla Nsair View.
Una distesa di terra rossa ci aspetta al limitare della strada, affacciandosi dall'alto sulla distesa di luci sottostanti. Una parte di esse sono ancora luci della Capitale, poi laggiù Il Salt e a nord Jerash.
Se il cielo fosse terso, si vedrebbero le luci di Nablus, la città natale dello Knafeh rimasta al di là del confine.
Ci sediamo sulle rocce, il mansaf sullo stomaco ci costringe ad avvolgerci in delle specie di pesantissime giacche beduine. 
Siamo inchiodati lì, su quella pietra sospesa sul nulla, a guardare un panorama infinito di luci e di oscurità. E la luna, unica certezza immobile, a ricordarci che lei è uguale per tutti e che ci sarà sempre. In qualsiasi posto andremo, da qualsiasi posto verremo, durante qualsiasi avventura decideremo di intraprendere. Più o meno forte in base alla luce che riceverà dal sole, alla forza che avrà di riflettere gli abbagli, ma sarà sempre lì, così vicina e così democraticamente lontana.
Forse Mahmoud Darwish aveva ragione: Maybe the moon is beautiful only because it is far.” 

giovedì 13 settembre 2018

SENSI di VIAGGIO XX: i murales di Amman

Credo di avervi promesso di parlarvi dei Murales di Amman: ci tengo molto a darvi un'idea della quantità e della qualità di questi lavori perchè credo che molti di noi non si aspettino tanta effervescenza artistica in Medio Oriente. E invece la città continua a sorprendermi e a rivelare un volto giovane e intraprendente che vuole rendere gli spazi più vivibili e trasformare anfratti grigi e "scontati" in attimi di sorpresa per il turista e, spero, per gli abitanti storici.


I principali Murales che ho fotografato si trovano tra IlWebdeh e Jabal Amman, due colli limitrofi tra i più "storici" della città. 
Ho già detto mille volte che IlWebdeh è il cuore artistico di Amman, sede di mostre, gallerie, musei e centri culturali che hanno creato un ambiente davvero florido per artisti locali e non solo: la cosa curiosa è che questo colle è anche uno dei più antichi insediamenti della città, motivo per cui l'effetto "street art" [arte di strada] può sorprendere...



Ma la verità è che questi murales forniscono anche un fondamentale servizio agli abitanti: l'incoraggiamento". Molte delle scale storiche della città, quelle che collegano "per direttissima" i punti nevralgici - leggi: ti scaraventano vertiginosamente verso i piedi del colle OPPURE ti obbligano a intraprendere una via Crucis per arrivare in cima - sono state ridipinte, nascondendo la loro vera natura omicida dietro centimetri di acrilico...




In questo modo, la salita vi sembrerà forse meno faticosa e creerà anche una brillante cornice per ammirare il paesaggio da uno dei rari pianerottoli che si affacciano sulla città.


In molti casi, i murales hanno coperto "moderne" colate di cemento o pareti di calcestruzzo abbandonate da troppo tempo. In altri, hanno dato un senso ai muri di alcune case costruite senza troppa regolamentazione edilizia...

In altri, invece, servono "solo" a rendere più "in" e più attrattivo un quartiere che già di suo ti avvolge con la sua magia e in cui è piacevole perdesi...





Purtroppo per voi e per me, la mia ricerca non ha dato molti frutti: ho trovato alcune informazioni riguardo il progetto dei murales in questi link qui sotto che vi suggerisco di aprire anche solo per vederne degli altri.
Prometto che ci sarà una "Parte 2" non appena riuscirò a documentarmi un po' meglio sul progetto, su chi l'ha proposto, su chi sono gli artisti e quali le fonti di ispirazioni per i disegni.


LINK UTILI: