Chi ci conosce, ci ha sentiti parlare di questo libro centinaia di volte. Ce ne siamo innamorati e, dopo essercene procurati una copia, abbiamo iniziato a mostrarlo, descriverlo, proporlo in moltissime e diverse occasioni della nostra quotidianità. Tra amici, per una chiacchierata al bar, per un qualche progetto di ricerca, fino a renderlo parte del nostro lavoro. Abbiamo sperimentato la sua efficacia nelle scuole e, per ora, questo traguardo rappresenta la più grande soddisfazione personale: aver concretizzato teorie e potenzialità creative e immaginifiche che eravamo certi questo libro contenesse.
Il nostro progetto è illustrato nel numero 326/2015 della rivista d'illustrazione e letteratura per l'infanzia Andersen (http://www.andersen.it/ottobre-2015-n-326/). Quello che vogliamo fare con questo post è raccogliere tutte - ma proprio tutte - le conoscenze e le curiosità che abbiamo accumulato in questi anni intorno al "Codex Seraphinianus". Creare una sorta di compendio per tutti quelli che ne sentono parlare per la prima volta, per chi vuole approfondire e per chi vuole riordinare le idee sparse - e le suggestioni - intorno a quest'opera. . E infine, dobbiamo ammettere di averlo fatto anche per noi, per dare forma e struttura alle infinite chiacchiere che abbiamo prodotto e produrremo, come in una sorta di database dialettico.
Insomma, quella che vi aspetta non è una lettura semplice, né rilassante: ma non è fatta per essere letta tutta. Seguite i sottotitoli e soffermatevi su quello che più vi interessa, come in un'(altra)enciclopedia.
Parlare del Codex Seraphinianus a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare significa prenderla molto alla larga. L’unica cosa che forse si può accorciare è il nome, essendo divenuto, per antonomasia, semplicemente “Il Codex”.
Anche se non servono
particolari requisiti per l’accesso al suo universo - anzi, per sua natura, richiede "solo" di liberarsi da ogni schema e preconcetto - è difficile collocare
un’opera tanto singolare all'interno della nostra conoscenza e, prima ancora,
della nostra percezione.
Diciamo anzitutto che il Codex Seraphinianus
è un’enciclopedia: beh, questo sembra in effetti essere un bel punto fermo, ma se vogliamo essere più realistici, meglio chiamarla “l’enciclopedia di un
visionario”, come suggeriva un’autorità quale Italo Calvino.
Anzitutto è un’enciclopedia perché
rigorosamente sistematico, dato che il Codex è diviso in capitoli e
sezioni e corredato da relativi indici anticipatori.
"Panismo" serafiniano |
È un’enciclopedia perché provvisto di un'importante componente iconica: ogni enciclopedia che si rispetti racchiude
illustrazioni accurate dei fenomeni che descrive, accompagnate da didascalie
e schemi, freccette e rimandi, che devono istruire il pubblico ancora ignorante di ciò che sta apprendendo.
Ma il requisito fondamentale è che
un’enciclopedia racchiuda tutto il sapere accumulato dall’uomo intorno al suo
universo. Data l'ovvia natura “umana” di Luigi Serafini, ci aspetteremmo che la
sua opera non sia che una copia, magari più aggiornata e precisa, dell’impresa
settecentesca di Diderot e D’Alambert.
Ma è proprio a questo punto che
bisogna recuperare la seconda parte dell’espressione calviniana: “di un
visionario”. Serafini raccoglie sì il suo sapere, ma non il sapere intorno al
nostro mondo: descrive, e mentre scrive e disegna lo forgia, il mondo della sua immaginazione, della sua visione fantastica, del suo modo alternativo
di vedere le cose.
Accurato indice anticipatorio |
È così che un architetto diventa artista
e da artista visionario, colui che vede oltre la realtà empirica e immediata e
crea, con un’azione che ha del demiurgo, un universo parallelo al
nostro.
Ed è proprio in questo mondo altro,
così simile al nostro da divenire straniante – sarebbe meglio dire spaventoso?
- che si cela l’affascinante mistero del Codex: un universo costituito da
piante, fiori, macchine, uomini apparentemente così simili alla realtà che ci
circonda, ma comunque diversi. L’autore prende in prestito elementi reali e li
mischia, stupendoci del fatto che sia possibile una così profonda ricostruzione
semantica del mondo in cui viviamo: un’ibridazione da molti definita
“borgesiana”, che mette in luce come tutto possa essere trasformato e
sconvolto, fino a uno stravolgimento che ci scompensa, ci travolge, ci impaurisce
inducendoci a (ri)leggere il mondo in cui viviamo attraverso i parametri
fornitici dal Codex.
Le
immagini diventano il paradigma della permeabilità tra i diversi territori
dell’esistere: l’anatomia scambia le forme con la meccanica - si pensi alle
braccia-martello o al dito-penna stilografica - spesso completandosi con il
vegetale. Esso a sua volta si fonde con il merceologico e si generano
foglie-forbici, spighe-matita e nello stesso modo il tecnologico e l’araldico,
il selvaggio e il metropolitano, lo scritto e il vivente.
Arti ibridati |
C’è chi dice che il libro non ha un
senso, che non è che una colossale (per quanto strabiliante) presa in giro: ma
tutti, davanti alla sua innegabile organicità, devono ammettere che non può
essere solo il prodotto di un estro casuale ed estemporaneo.
Ma il mistero non finisce qua: esso è
rafforzato dal rompicapo di una scrittura incomprensibile, finora indecifrabile
e (forse?) asemica, cui la nostra propensione scolastica ci spingerebbe ad
affidarci per svelare l’arcano: peccato che, invece, non ci dia altro che l’illusione
di trovarci davanti a un libro “normale”.
Insomma, l’angoscia che questo Universo ci trasmette non deriva
tanto dalla sua differenza con il nostro, quanto dalla sua somiglianza: gli
elementi sono quasi sempre riconoscibili, ma è la connessione tra loro che ci
appare sconvolta. Lo scompiglio degli attributi visivi genera dei mostri, tanto
che si potrebbe quasi definire il Codex Seraphinianus un’opera teratologica
di raffinata logicità, in quanto i nessi contorti e accavallati sembrano
apparire ed essere lì, pronti per essere pronunciati, perché nel vederli
qualche lampadina si accende nella nostra testa.
LA NASCITA DEL CODEX
LA NASCITA DEL CODEX
Da "Decodex", opuscolo dell'edizione 2013 |
Dalle sue mani prendono aspetto
uomini ibridati con arti a forma di pinza, di ruota, di penna a stilo.
Ha trascorso gli anni precedenti a
viaggiare tra l’America e l’Africa, dal Congo all’Eufrate e questo ci spinge a
pensare che le esperienze di viaggio siano brillantemente rielaborate nella sua
opera.
Quello che ha in mente, però, non è
ancora ben chiaro nemmeno a lui.
Si rende conto che i suoi disegni
assumono spontaneamente un ordine quasi tassonomico e, febbrilmente, continua
la produzione. Una sera, il suo amico Giorgio passa a trovarlo con qualche idea
per la serata, ma Luigi Serafini declina l’offerta, dicendo di essere impegnato nella
stesura di un’“enciclopedia”: sarà quest’affermazione a decretare la svolta.
Egli scivola nel ruolo di un amanuense
che se ne sta segregato nello scriptorium del suo monastero e questa
condizione sarà destinata a durare quasi tre anni. Vive in isolamento,
approfittando soltanto dei piccioni che si posavano sul suo terrazzino per
banchettare le briciole, per ricevere le “news della giornata attraverso i glu
glu e i battiti d’ali”, che dice di saper interpretare grazie agli insegnamenti
della nonna conoscitrice del loro linguaggio.
Ma chi ha guidato la creazione del
Codex? Da dove nascono i disegni, da dove nasce la fluida scrittura? E' tutto
frutto della sua immaginazione?
Spesso egli ha affermato che in
realtà il Codex è una creazione eterodiretta, guidata da una forza esterna:
l'abbiamo sentito parlare di genius loci, ovvero delle forze
sovrannaturali che si riuniscono intorno a un luogo – e, nel caso specifico, intorno a Roma, ma di questo parleremo a
proposito dei suoi debiti artistici - e dello spirito del tempo - che,
secondo Hegel, giustifica le produzioni dello Spirito nelle diverse epoche.
Ma nel suo Decodex, opuscolo legato
all'edizione Rizzoli 2013, egli propone una tesi più fatata. Una sera, mentre
rientrava, vide una gatta bianca che sembrava abbandonata: la portò a casa con
sé e abitarono insieme fino alla conclusione del Codex. Si arrampicava sulle
sue spalle e, mentre egli disegnava, si accoccolava ronfando. Facendo penzolare
la coda una volta a destra e una volta a sinistra, a seconda dei sogni che
faceva - come nella storia narrata da Puškin in Ruslan e Ludmilla –
trasmetteva a Serafini, nel contatto con la sua ipofisi, canzoni e racconti che
lui scambiava per la sua immaginazione. Sembra essere l'unica ipotesi, questa,
a poter giustificare una sì vasta
produzione in così poco tempo.
In questi
lunghi mesi di forsennato ed esclusivo impegno, ben sapendo di
dover trovare un modo per mantenersi, Serafini collabora con alcuni
architetti – per questo lui stesso afferma che la pagine del Codex sono
contagiate dalla “precisione del disegno tecnico e dalla profondità del nero di
china” – ma soprattutto cerca una strada per ottimizzare i prodotti della sua
creatività: insegue tutti i possibili editori sul mercato, non guadagnando,
però, l’attenzione di nessuno.
La buona occasione si paleserà con
Franco Maria Ricci: dopo averlo aspettato per due giorni in un’utilitaria
prestata appostata in Via Santa Sofia, ove c’era il suo ufficio, riesce
finalmente a incontrarlo e a mostrargli alcune delle sue tavole. Il lavoro era
a quell’epoca ancora in fieri: Ricci, entusiasmato dalla sorprendente
genialità innovativa di Serafini, lo stimola a continuare il lavoro, del tutto
inconsapevole della sua prolificità - tanto che, a un certo punto, dovrà dare
uno stop all'autore, che continuava a sottoporgli tavole nuove.
La prima edizione del “Codex
Seraphinianus” sbarca nelle librerie nel 1981: è un vero successo, tanto che
richiama l’attenzione, non solo di Italo Calvino, ma anche di altri personaggi
famosi a livello internazionale.
Luigi Serafini non voleva dare un
titolo alla sua opera: ma, come ha affermato lui stesso, “non avrei saputo come
giustificarne l’assenza”. Fu Ricci a scegliere il titolo “Codice di Serafini”
trasposto alla latina, formula evocante l’enigmicità fuorviante del libro,
spiegabile solo se ci si cala nell’universo seraphinianus.
STRUTTURA
Il libro si compone di quasi 400
pagine - dipende dalle edizioni: se volete un dato preciso e scrupoloso, vi
consigliamo di contarle, dato che anche il sistema di numerazione delle pagine
è in codice.
È diviso in 11 sezioni che sembrano
ricalcare la nostra naturale segmentazione della realtà: ci sono una sezione
botanica, un’altra zoologica, una antropologica, una fisica, una meccanica,
persino una gastronomica. Ampio spazio è riservato all’etnografia, alla
produzione architettonica e a quella alfabetico-scrittorea.
È interessante notare come,
all’inizio di ognuna di esse, vi sia, oltre ad un indice schematico e a quella
che sembra essere una descrizione introduttiva del tema trattato, l’esposizione
particolareggiata delle microparticelle che danno forma agli elementi trattati
dai capitoli: si trovano infatti minuscoli esserini, simili a cellule di
differenti forme e colori, che vengono accuratamente catalogati.
Nell’opera ci sono anche elementi
ricorrenti, quelli che, secondo Calvino, scatenano maggiormente il suo ‘raptus visionario': l’arcobaleno, l’uovo
e lo scheletro - che vediamo ad esempio in attesa della sua ‘tunica di pelle’.
L’arcobaleno sembra essere il
principio di tutto quest’universo: lo si trova forato da animaletti che potrebbero esserne il germe
vitale, è il ponte che sorregge intere città, sa cambiare forma e colore a
seconda del suo sostegno e viene
generato da vere e proprie macchine.
Luigi Serafini dice che le “parole” sono
state inserite nel Codex perchè necessarie, sono come uscite dalle sue mani
nell’urgenza di spiegare delle immagini tanto stranianti da risultare
incomprensibili allo stesso autore: “avevo fatto un disegno che non capivo”.
Gli sembrava che mancassero le parole per completare quel disegno sempre più simile
a un atlante e così, armato della convinzione che l'avvicinamento di un testo a
un'immagine generi quantomeno un'apparenza di senso – anche se non comprendiamo nè l'uno nè l'altro – creò un nuovo alfabeto che “fosse gradito alla mia mano”.
La scrittura del Codex, che non
corrisponde a nessun alfabeto realizzato dall’uomo prima d’allora, si compone
di segni barocchi e rotondeggianti: è forse questo l’elemento che, ancor più
delle immagini, ha suscitato l’interesse di studiosi e non, che si sono
improvvisati decodificatori e hanno cercato di trovare la chiave – sempre che
esista - che sta dietro al meccanismo. Anche qui, l’assoluta vicinanza che
accomuna il linguaggio serafiniano al nostro, ci lascia basiti e attoniti a
crogiolarci in un’impotenza a cui non sappiamo arrenderci. Tuttora, pur essendo
passati oltre 30 anni dalla sua prima edizione, impazza il dibattito sugli
spazi offerti dai blog e da altri format di discussione.
Recentemente Luigi Serafini ha
affermato che la scrittura è asemica, cioè aperta, senza parole, priva di un
qualsiasi specifico contenuto semantico: si crea così un vuoto di significato
che si lascia al lettore di riempire e interpretare.
Macchina che produce le lettere |
Ma la sistematicità dei grafi che la
compongono, la ridondanza di quelle che ci sorge spontaneo definire “lettere”
allontanano dalla nostra opinione la possibilità che si tratti di una scrittura
anomica, cioè priva di regole: anche nel Decodex si dice che “lentamente distillai
una calligrafia con tanto di maiuscole e minuscole, punteggiature e accenti”.
La
cosa sorprendente è che la grafia è anch’essa vivente e diventa oggetto stesso
delle immagini. Ha una sua corposità, può diventare tridimensionale, può
sollevarsi dal foglio appesa a dei palloncini, può sanguinare se
punta con uno spillo. Addirittura, possiamo esaminarla con una lente, per
vedere i microscopici corpuscoli che la compongono.
La scrittura prende forma |
LE EDIZIONI
Come abbiamo detto, la prima edizione
risale al 1981, per i tipi di Franco Maria Ricci: divisa in due grossi volumi rilegati di tela
nera, poche migliaia di copie totali, che col tempo sono divenute molto
ricercate.
Due anni dopo, nel 1983, il Codex
viene pubblicato anche fuori dall’Italia: nei Paesi Bassi, negli Usa e in
Germania. Esaurite le copie, nel 1993 viene immessa sul mercato editoriale
europeo una nuova edizione in volume unico, corredata dalla prefazione del già
citato Italo Calvino.
E’ nel 2006 che la Rizzoli riscopre
l’opera e la ristampa: l’autore inserisce altre 9 tavole di prefazione, dandoci
l’illusione che possano essere la chiave della sua interpretazione. A ciò si
accompagna una revisione tipografica che ha riportato i colori alle definizioni
originarie.
Nel 2013 l'ultima riedizione che alla
versione trade affianca un'edizione “deluxe” in 600 copie (300 destinate al
mercato nazionale ed altrettante all'estero), numerate e firmate dallo stesso
autore, poste in un'elegante cofanetto e accompagnate da uno dei quattro Ta-Roc
Serafiniani, carte giganti in cui si declina una personalissima interpretazione
del mito dell'uccello Roc.
Oggi il Codex è pubblicato in tutto
il mondo, dalla Russia alla Cina: è stato realizzato un video che raccoglie i
vari commenti sul “libro più strano del mondo” - questa è la formula che vi
consigliamo di digitare su Google, se volete validare quello di cui vi stiamo
parlando. (https://www.google.pl/search?q=libro+pi%C3%B9+strano+del+mondo&gws_rd=cr,ssl&ei=kjFUVsO2EsmasgHexInoAg)
L’effetto, anche in questo caso, ci lascia disorientati, dal momento che l’incomprensibile scrittura del Codex viene allineata ad altre scritture, pur esistenti e utilizzate, che tuttavia non decifriamo, perchè composte in un altro alfabeto (si pensi al coreano, al cinese, al cirillico...).
Uno dei Ta-roc serafiniani. Fonte: coliseum.it |
L’effetto, anche in questo caso, ci lascia disorientati, dal momento che l’incomprensibile scrittura del Codex viene allineata ad altre scritture, pur esistenti e utilizzate, che tuttavia non decifriamo, perchè composte in un altro alfabeto (si pensi al coreano, al cinese, al cirillico...).
PRECEDENTI e DEBITI ARTISTICI
Se, più o meno legittimamente, ci
viene voglia di scoprire con chi è in debito un autore così originale, quella che ricaviamo è una risposta tanto insolita quanto lo è l’universo del Codex: i
suoi debiti principali sono contratti nei confronti di Roma e di Mozart.
La prima perchè, oltre ad essere la
sua città natale, costituisce il contesto di reazione (chimica) in cui il Codex
si è originato. Serafini sa di aver potuto godere della Roma del GranTour,
precedente alla trasformazione economica, immersa in quell’atmosfera che l’ha
resa per anni “la Hollywood che si sposta sul Tevere”. “Le case di Keats e
Goethe sembravano attendere con pazienza il loro ritorno”, perchè la modernità
faticava a penetrare i vicoli e i cortili.
Mozart, invece, perchè il Flauto
Magico fu la colonna sonora dei suoi pomeriggi di lavoro: ascoltava un 33 giri
con il grammofono, finchè nel disco si originò un buco.
Qualcuno, forse nella volontà di
sminuirne l’originalità, trova dei precedenti nel “Manoscritto di Voynich”,
nell’Arcimboldo, in Bosch, in Escher, nelle “Macchine di Munari”; quello che
noi crediamo è che il Codex sia una delle più magnificenti espressioni di una
rete di artisti che, prima ancora che produttori, sono stati grandi e
alternativi pensatori.
Estratti dal Manoscritto di Voynich |
IL LETTORE IMMAGINARIO
Non sorprende sapere che Serafini,
mentre disegnava le tavole di cui stiamo parlando, non ne immaginasse un
possibile lettore: questo perchè egli ha sempre vissuto il Codex come una
necessità personale e tutta sua, priva di interessi pragmatici, ma piuttosto
elaborata per il piacere di farla. Anche perchè lui non si sente un artista:
dice che “artista” è una parola avariata, si definisce piuttosto un
“viaggiatore”.
Quello che però era e continua ad
essere nei suoi intenti è una rivoluzione nel mercato dell’arte, libero e
demonetizzato, che sia motore di discussione e confronto: egli è riuscito a
creare un blog ancora prima della nascita di Internet, dato che l’enorme eco
che il Codex ha generato ha assunto i toni di un fenomeno sensazionalistico.
Tutti coloro che ne sono venuti in possesso ne hanno parlato, intavolando una
discussione che si è dipanata a catena qe ciò ha permesso di esternare
rapidamente il giudizio che oggi daremmo con un Like. Si è creata una
vera e propria rete, che ai tempi era reale, ma che ora si è adattata allo
“spirito del tempo”, per richiamare Hegel, e dibatte virtualmente - e
virtuosamente, lo ammettiamo - sull’interpretazione del Codex.
RISVOLTI PEDAGOGICI
Ciò che il Codex ci insegna a fare è,
anzitutto, a liberarci dagli schemi che la nostra società ci impone. Certo, il
Codex è un’opera culturalmente orientata: non potremmo capire gli elementi che
compongono alcune sue pagine se non fossimo sottoposti ogni giorno agli stimoli
della nostra realtà. Ma ne serve una critica messa in gioco.
Il Codex è frattura, sconvolgimento,
perdita d’equilibrio rispetto a un sistema statico e ordinario, rispetto alle
conoscenze che assumiamo, elaboriamo, utilizziamo dalla nascita: ci catapulta
in una novità sconvolgente ma liberatoria, in cui ognuno può dare la sua interpretazione,
il suo significato, rivestendosi di un ruolo magistrale di ridefinizione delle
categorie.
“Vi ricordate quando da piccoli
sfogliavamo i libri illustrati e, fingendo di saper leggere, fantasticavamo
sulle loro figure, davanti ai grandi?”: è questo il lavoro che il Codex ci
spinge a fare. Tornare a una situazione di elementare conoscenza, di ingenuità
scevra di concetti, per guardare questo libro da illetterati. Tutti siamo
analfabeti, davanti al Codex: non capiamo i disegni, non comprendiamo il senso
delle immagini. Non possiamo che recuperare quelle aliene sensazioni infantili
e renderci liberi.
Incontro con Luigi Serafini nel corso del progetto da noi condotto presso la Biblioteca di Tirano "Paolo e Paola Maria Arcari". Foto: Ivan Previsdomini © 2015 |
La sua assoluta indipendenza da
preconcetti la rende altresì un’opera universale, e questo ne ha permesso una
così ampia diffusione su scala mondiale: può essere sottoposta alla
contemplazione di adulti, bambini, scandinavi e africani, senza perdere la sua
efficacia.
Lo stupore che genera porta avanti un
gioco infinito e senza confini. Divertirsi, anche, a fare delle ipotesi, a
vedere come ciò che noi interpretiamo in un modo può essere soggetto a pareri
diversi.
Fu lo stesso Ricci, del resto, ad
affermare: “vorrei che il lettore sfogliasse il Codex come un bimbo che non ha
ancora appreso la lettura, ma che gioisce dei sogni e delle fantasie che le
immagini gli suggeriscono”.
LA FUNZIONE ORACOLARE DEL CODEX
Come è facile immaginare, il Codex ha
funto da fonte di ispirazione per molte altre opere e progetti.
È del 1986 l’esperimento di video
danza sul Codex che viene iniziato in Francia dal coreografo Philippe Découflé,
che si produrrà in Codex (1986), Decodex (1995) e Tricodex (2004).
Il gruppo scozzese dei “North
Atlantic Oscillation” ne ha creato un video facilmente reperibile sul web dal
titolo “August” che propone una delle loro composizioni associata ad alcune
immagini animate del Codex.
Nel 2014 è
stato realizzato da François Gourd e Mélanie Ladouceur un lungometraggio sul
Codex e sul suo autore dal titolo “Luigi Serafini, Grand Rectum de
l’Université de Foulosophie”.
ALTRE OPERE DELL’AUTORE
L’artista non deve essere atomizzato
nè fatto a pezzi: spesso il mercato dell’arte investe su alcune produzioni, su
quelle più sorprendenti, perchè generano curiosità, e la curiosità profitti.
Per
contrastare questo meccanismo vi consigliamo di approfondire anche le altre
opere di Luigi Serafini: tra i libri, la Pulcinellopedia
(piccola), una suite di disegni a matita e brevi testi, dedicato
interamente alla maschera di Pulcinella e Le
Storie Naturali (2009), inconsuete rappresentazioni dei celebri racconti di
Jules Renard. Da pochi giorni è uscito per Rizzoli Il coniglio d'oro, una vera e propria lapinopedia-ricettario di conigli reali e immaginari.
Da "Pulcinellopedia (piccola)". Fonte: spamula.net |
Oltre ad essere pittore e architetto,
Luigi Serafini è scultore, ceramista, designer.
Ha collaborato in diverse occasioni
con la Rai e soprattutto si è espresso a Milano, città che negli anni ha
accolto il suo studio, dove ha organizzato diverse mostre ed esposto le sue
opere: tra tutti, la mostra al Pac (Padiglione di Arte Contemporanea), dal
titolo Luna-Pac Serafini, che ha registrato in 30 giorni più di 11.000
visitatori, e "Geometrindi e Matematindi", un
grande tondo dipinto per la Sala Consiglio del Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano.
In occasione della realizzazione della metropolitana a Napoli, nel 2003
ha elaborato alcune decorazioni presso l'uscita della stazione Materdei.
"Geometrindi e Matematindi". Fonte: mate.polimi.it |
Una sua produzione l’ha portato
particolarmente vicino a noi – in provincia di Sondrio: nel luglio 2008 ha realizzato l'installazione
"Balançoires sans Frontières" (Altalene senza Frontiere) a Castasegna, lungo il confine italo-elvetico: la struttura permette di
dondolasi tra le due Nazioni confinanti.
La sua notorietà è divenuta tanto famosa da essere chiamato anche fuori d’Italia per prendere parte a progetti artistici e sperimentali.
Ora, non sappiamo se vi abbiamo detto tutto. L'unica cosa di cui siamo certi è che ognuno può "leggere" e interpretare il Codex a suo modo, divertendosi o rimanendo perplesso, criticandolo o promuovendolo. Per questo quella del Codex è una storia infinita. Quello che speriamo è che anche voi possiate continuare questo progetto liberatorio e creativo, lasciandovi stupire una volta ogni tanto da questa strana enciclopedia di visionari, sprofondando anche solo per un attimo in un'altra realtà!
La sua notorietà è divenuta tanto famosa da essere chiamato anche fuori d’Italia per prendere parte a progetti artistici e sperimentali.
Ora, non sappiamo se vi abbiamo detto tutto. L'unica cosa di cui siamo certi è che ognuno può "leggere" e interpretare il Codex a suo modo, divertendosi o rimanendo perplesso, criticandolo o promuovendolo. Per questo quella del Codex è una storia infinita. Quello che speriamo è che anche voi possiate continuare questo progetto liberatorio e creativo, lasciandovi stupire una volta ogni tanto da questa strana enciclopedia di visionari, sprofondando anche solo per un attimo in un'altra realtà!
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