Vaghiamo per Madaba senza pretese, in un venerdì tranquillo e assolato di inizio autunno. La città è deserta, come solo può essere di venerdì in un paese del Medio Oriente. La gente ancora dorme oppure si aggira rilassata per la città. Non c'è traffico, solo frotte di turisti come noi che vogliono sfruttare il weekend.
Siamo qui per vedere i famosi mosaici bizantini e le chiese della città: un terzo della popolazione è cristiana e i due edifici più importanti sono la Chiesa di San Giorgio e il Santuario della Decapitazione di Giovanni Battista. Sono edifici abbastanza nuovi, il primo ortodosso, il secondo cattolico, costruiti tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo.
Ci stupiamo di vedere così tanti pellegrini, così tanti preti e suore. In un certo senso, ci sentiamo un po' a casa, in questa cittadina a mezz'ora dalla capitale che sembra la riduzione in scala di uno dei nostri centri storici.
Da qui sono passati in molti: una delle 12 tribù di Israele, gli Ammoniti, i Nabatei, i Romani e i Bizantini. Abbandonata per più di 1000 anni dopo un violento terremoto, si è ripopolata poco più di cento anni fa grazie a una comunità di duemila cristiani fuggiti da Karak dopo uno scontro coi musulmani locali.
Nella chiesa di San Giorgio c'è uno dei mosaici più importanti del mondo: la più antica cartina della Palestina - e della Terra Santa - scoperta un po' per caso mentre si scavava tra i resti di una chiesa bizantina per erigere l'attuale chiesa cristiana. Entriamo con religioso silenzio, la chiesa è modesta: cerchiamo il famoso mosaico fino a trovarlo sotto i nostri piedi. E' rimasto ben poco, ma si intuisce la magnificenza di quell'opera originariamente lunga circa 20 metri e composta da 2 milioni di tessere.
Tutta la geografia del Medio Oriente è sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi: le didascalie sono in greco, ma la riproduzione all'ingresso ci ha permesso di orientarci e riconosciamo le città principali: prima fra tutte, Gerusalemme.
Proseguiamo un po' a zonzo, tra i negozietti colorati della via principale: i venditori ci guardano, desiderosi di una nostra visita nelle loro botteghe. Scopriremo che sono gli unici personaggi attivi della giornata, considerando che vagheremo per più di un'ora prima di trovare un posto aperto dove mangiare.
Arriviamo a uno dei due parchi archeologici della città: ci sono un uomo e un bambino ad aspettarci.
Ci chiedono se abbiamo il Jordan Pass, senza intenzioni di controllarlo. Il bambino prende l'iniziativa e ci porta a fare il tour guidato dell'area, mentre quello che presumiamo essere il padre, giace inerte sulla sedia. E' un parco veramente piccolo, ma ci sono dei mosaici bellissimi su quello che doveva essere il pavimento di una chiesa. Il bambino ha 12 anni, (non) sa una parola di inglese: "come" - "venite". Va velocissimo, ma si ferma a ogni cartello esplicativo per farcelo leggere, certo del nostro interesse.
Appena togliamo gli occhi dal pannello, inizia a indicare qualche animale tra i mosaici e dice il nome in arabo. Vuole fare una foto, orgoglioso delle sue competenze turistiche; soprattutto, ambisce a quei due dinari che ci ha fatto risparmiare per non averci stampato il biglietto.
Ma il vero gioiello della città è il Santuario di cui sopra - in cui troviamo il Gesù più biondo di tutti i tempi.
Saliamo sul campanile, 100 gradini tra le corde delle campane che oscillano al nostro passaggio. La vista è magnifica, da lì: si vedono i confini della città, l'estendersi infinito del deserto. Non smetterò mai di meravigliarmi di questa assenza di limiti, di spazi incalcolabili, di questa assenza di barriere naturali. Forse, dell'assenza delle Alpi, che anche qui viziano la mia percezione dello spazio.
Respiro a pieni polmoni, l'aria del deserto e il calore di un ottobre ancora gentile. Il muezzin canta il richiamo alla preghiera dalla moschea principale della città. Questo mix di religioni ci stupisce e ci rilassa. Forse, siamo contagiate dalla spiritualità del luogo.
E' così che decidiamo di proseguire e di portarci fuori città, per vedere la Terra Promessa: prendiamo un Taxi per il Monte Nebo, nel nostro risoluto tributo a Mosè.
Ma questa, è la storia di domani ;-)
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