La Giordania è piena di Wadi - وادي: Wadi al Hasa, Wadi Al Karak... ma tutti mi dicevano che il Wadi Mujib è senza paragoni e che non potevo perdermelo.
Tecnicamente, la traduzione per Wadi potrebbe essere "Valle", ma dimenticate i libri di geografia e le valli a U o a V: i Wadi in Giordania non sono niente di tutto questo.
Piuttosto, sono dei Canyon scavati nei millenni dai fiumi che vi ci scorrono e che hanno progressivamente eroso le rocce. Avete in mente il Gran Canyon? Ecco, pare che il Wadi Mujib sia considerato il Gran Canyon del Medio Oriente e, nella mia scarsa cultura sul tema, credo che come scenario ci si avvicini abbastanza. La valle sfocia nel Mar Morto e l'acqua che vi ci scorre è una dei maggiori affluenti al
curioso mare di cui vi ho parlato ieri...
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Il Wadi Mujib doveva essere il più divertente "perchè "cammini" nell'acqua"- vi avviso: i verbi, in questo racconto, diventeranno molto relativi.
Mettiamo il giubbotto di salvataggio e non senza spavalderia ci caliamo nel rossore del canyon, immergendoci subito nell'acqua che, pur essendo calda, ci dà quel po' di refrigerio che cercavamo almeno dal primo tornante della Strada del Mar Morto.
Ci inoltriamo risalendo quello che al momento sembra essere un gentile fiumiciattolo e ci godiamo la sensazione di isolamento dal mondo, chiuse tra quei due muri di rocce sconnesse ma arrotondate dall'acqua che si stagliano sopra le nostre teste per metri e metri di altezza.
Qualcuno fa strani versi per spaventare gli animali che vivono qui: il luogo è una delle riserve naturali più importanti del paese, dichiarata Patrimonio Unesco nel 2011 e mentre camminiamo sentiamo versi disparati di uccelli e troviamo moltissime piume sulle rocce irte della gola.
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"Cammina cammina" - come nei momenti più thrilling delle fiabe, in cui sai che stai per incontrare il cattivo - l'acqua si fa via via più alta e la sottoscritta comincia a scontrarsi con quella che avrebbe scoperto essere la difficoltà minore: risalire l'acqua contro corrente. Sbatto mani, piedi, testa, eppure il mio corpo non avanza di un centimetro...
Per fortuna, la mia amica Arianna viene a salvarmi con la sua prodezza da nuotatrice esperta e mi fa giustamente notare che basta che io prenda la spinta appoggiandomi ai bordi del canyon.
Se pensate che il problema possa essere che in alcuni punti non si tocca, beh, no, il problema - o almeno, il mio problema - non è stato questo.
Al di là del fatto che hai il giubbotto, è pure divertente lasciar penzolare i piedi, soprattutto se sai che sono diventati la preda preferita degli strani pesci trasparenti che vivono in questo fiume e che ti punzecchiano in ogni momento.
Premessa: ci avevano detto che due ragazze come noi avrebbero fatto il percorso, che è di una lunghezza compresa tra 1 e 2 chilometri, in mezz'ora. Sì, perchè noi siamo giovani e forti, dicevano, e ci sarebbero sicuramente state persone di una certa età molto meno agili di noi...
Il primo ostacolo lo incontro - e sì, la prima persona singolare è d'obbligo, dato che ero l'unica in difficoltà - quando devo strisciare contro la parete del canyon opposta alla corrente, per schivarla. Poi ci sono delle rocce emerse da passare - rocce bagnate, s'intende - per cui la riserva ha disposto delle corde.
Eccola, la fobia dello scalatore inesperto che si "prende male" quando vede una corda, perchè "corda" vuol dire "pericolo". Avrei scoperto dopo che questa era solo un'avvisaglia.
Va beh, mi tiro su con le braccia e per poco scivolo, ma Arianna è pronta a prendermi e raggiungo la sicurezza di un sasso emerso. Poi ancora giù nell'acqua per proseguire e quindi, ancora corrente e corde cui aggrapparsi.
Raggiungiamo uno spiazzo - si può dire "lanchetta"? - e finalmente penso che posso rilassarmi dopo aver rischiato di scivolare più volte ed essere stata presa al volo da qualcuno dei visitatori mossi a pietà.
E invece no, perchè ad aspettarmi c'è qualcosa che assomiglia a questo, ma con molta più acqua - l'altezza dell'acqua dipende ovviamente dalle stagioni.
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Guardo Arianna e le dico: "No Ari, io non me la sento, ho già fatto troppo, ho già superato i miei limiti" e via con una buona dose di autocommiserazione...
Nel frattempo, una ragazza è scivolata giù da quel muro di roccia e d'acqua almeno 4 volte, evidentemente nel panico: io penso che se non ce l'ha fatta lei, che sembra pure essere la classica ragazza "fisicata" del Nord Europa, non ce la posso fare certo io.
Mi passano davanti tutte le scene di morte possibili, tipo io che annego anche col giubbotto, io che respiro sott'acqua e soffoco, io che cado di schiena, sbatto la testa contro un sasso e muoio.
No, io mi fermo qui.
Mentre sto lì, intontita, un gruppo di 5 baldi giovani evidentemente giordani mi sorpassa e con sicurezza si mette in coda per prepararsi alla scalata. Io nel frattempo continuo a convincermi che no, le mie braccia hanno già fatto abbastanza e che no, non posso avere altre energie per scalare quel punto.
L'ultimo di questi 5, il più mingherlino, tra l'altro, mi tende la mano e mentre sto cercando di riattivare le connessioni neuronali per dirgli che non me la sento, approfitta del fatto che la mia mano destra non è momentaneamente sotto il mio controllo e mi trascina verso di sè. Credo che non avesse capito che ero in pieno panico, ma che mi considerasse semplicemente la pecora nera di un gruppo che era rimasta indietro e andava aiutata. Beh, che andavo aiutata era evidente, che volessi proseguire, un po' meno.
Razionalizzata la mia paura, il ragazzo mi fa avanzare e mi trovo in posizione centrale: 2 di loro sono davanti a me, 3 dietro e dicono che possono aiutarmi "pushing from down" - spingendomi dal basso.
Non so cosa mi succede, ma vedendo la forza muscolare di 2 di loro, mi sento più tranquilla e quando è il mio turno, prendo la corda e miracolosamente salgo: credo di non essermi mai sentita così leggera in tutta la mia vita, e non so se è stato perchè ormai ero in ballo e dovevo ballare - o meglio, tirarmi su senza possibilità d'uscita - o se è stato grazie a quel "pushing from down" di cui, sinceramente, non ho memoria.
Dalla cima di quel muro di rocce, superata la scaletta, Arianna mi sorride e dice che ce l'ho fatta e che sono "una figa". Bene, troppe emozioni a favore della mia autostima in un solo momento...
Ci sono ancora un paio di passaggi complicati prima di arrivare in cima, fatti di scalette collocate sotto il getto dell'acqua, forti correnti da cui puoi salvarti solo se ti tieni "con due mani" alla corda e passaggi obbligati tra le pietre in cui non ti è concesso di sbagliare l'appoggio.
Credo di ricordare almeno altri 4-5 punti in cui una mano mi ha salvato dalla gravità e almeno altri 3 "ohhhhhhoohh" della gente che mi era vicina e che anticipava la mia caduta - per fortuna, come una sorta di esorcismo, questa non è mai avvenuta.
Arriviamo alla cascata che tante volte avevamo visto sulle guide e sui banner pubblicitari: ce l'abbiamo fatta e penso che, come il buon montanaro conferma, il grosso è fatto perchè al ritorno "tuti li vachi li travaca" ossia "anche le mucche riescono a scendere in discesa".
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Credendo quasi religiosamente che sono miracolata ad essere arrivata fino a lì, decido di non sfidare la sorte e mi rifiuto di fare il tuffo da una roccia che ti scaraventa nella pozza sottostante - apparentemente, il rito di iniziazione di questo naturale AcquaPark.
E questa volta, nemmeno le incoraggianti rassicurazioni dei nostri 5 amici giordani a saltare con me - "because I think you only need a hand" riescono a convincermi: io i tuffi MAI.
Sarebbero bastati 5 minuti a farmi scontrare con la dura realtà che i tuffi erano l'unico modo per tornare da dove ero venuta, a meno che non volessi rimanere lì per sempre, con qualche strano uccello che mi portava del cibo dall'alto.
Ci avevano detto - si, lo so che ormai questa è diventata la sigla d'apertura di un'enorme presa in giro - che al ritorno bastava lasciarsi trascinare dall'acqua, ma io sapevo, pur non avendo il coraggio di portarlo a coscienza, che quei passaggi mostruosi che avevamo fatto in salita, dovevamo farli anche in discesa.
Uno dei 5 ragazzi si mette a fare la guida esperta e va avanti con sicurezza a tastare il terreno e poi grida messaggi informativi a tutti noi su come affrontare quel passaggio.
Tralasciando il fatto che il fondo in alcuni punti è basso e quindi le rocce emergono urtando alternativamente schiena e fondoschiena, arriviamo al punto più "divertente".
Se prima siamo saliti da una rassicurante scaletta, ora il senso di marcia impone che al ritorno si passi per uno scivolo d'acqua "alias" una roccia levigata che si protende verso il nulla. Non faccio in tempo a sedermi e a dire alla guida del parco che spartisce il traffico "ho paura", che questo mi spinge giù per lo scivolo: non faccio in tempo nemmeno a razionalizzare che sto per cadere nel vuoto e poi in una pozza. Risultato: non tappo il naso.
Sento solo che sono caduta nell'acqua, penso che il giubbotto mi tirerà su, e respiro. Respiro sott'acqua. Quando il baldanzoso giovine che faceva da apripista mi tira su, mi dice "breath, breath", respira. E' stato il respiro più doloroso della mia vita, ma tutto passa e mi sento cento volte scema quando dico ad Arianna "sto bene, ma ho respirato, sott'acqua".
Proseguiamo, non faccio a tempo a riprendermi che siamo a un secondo ingorgo. Anche qui, a quanto pare, l'unico modo per scendere è tuffarsi di sotto, e questa volta non c'è nessuno scivolo che possa avvicinarti all'acqua. Il tuffo sarà di circa 4 metri, i ragazzi e Arianna partono con un training motivazionale e mi dicono che posso farcela, discutono se sia meglio che io vada per prima o per ultima - credo che abbiano pensato che se rimanevo per ultima mi sarei immobilizzata prima di saltare - quindi decidono che tre salteranno prima, due dopo. Così ci saranno tre di loro a ripescarmi là sotto e due a spingermi se avrò una crisi di nervi. Ultima raccomandazione, "Non respirare, tappa il naso con le dita, e tieni chiusa la bocca!": ma dai!, direte. Vi assicuro che nel panico nulla era scontato, nemmeno che l'acqua potesse entrare dalla bocca.
Salto e saltando penso che prima salto prima smetterò di avere paura e se sopravviverò sarò viva.
Questa volta va meglio, non respiro nell'acqua, riemergo e "wow", sono viva.
Insomma, il peggio è davvero passato. Ci sono ancora alcuni punti in cui l'acqua è forte e devi stare attenta alle rocce, ma tutto prosegue per il meglio.
Cerco di rilassarmi, di lasciarmi trasportare dalla corrente e nel frattempo guardo in su: le pareti del Canyon proseguono a vista d'occhio fino quasi a toccarsi, qualche impavido raggio di sole riesce a filtrare, c'è una luce rossastra e mi chiedo se sono sulla Terra o all'Inferno - siamo comunque a 400 metri sotto il livello del mare, nel punto più basso del Pianeta.
Nella mia mente ho fatto un sacco di promesse, tra le quali quella di convertirmi all'Islam in onore a questo impavido venerdì.
Il mio racconto vi sembrerà esagerato e sapete: è la verità!
La mia paura e il mio terrore in quelle quasi 3 ore (!!!) che abbiamo trascorso là dentro erano esagerati, considerando il numero di turisti che vengono qui ogni giorno e il divertimento che ne derivano. Eppure, mi sono messa addirittura a interpretare la turista lamentosa che pensa "dovrebbero attrezzarlo meglio", "dovrebbero darci un caschetto", "servirebbe il paradenti" e tutta una serie di altri accorgimenti che a quanto pare sarebbe utili solo a me.
E' bello sentirsi così incapaci, comunque, non foss'altro che per la ragione che tutte le attenzioni erano su di me 😊 e scusate se tutto il mio femminismo Occidentale è annegato nell'acqua dolce del Canyon mentre ero così felice di essere sotto la protezione di quei 5 ragazzi Giordani che, sinceramente, credo ancora mi abbiano salvato da un gioco pericoloso.
A parte gli scherzi, credo che in alcuni punti, l'avventura sia anche stata divertente.
L'unica cosa certa è che me la ricorderò per tutta la vita.